QUANTO CI MANCHERA’ L’ITALIA DELL’APE PIAGGIO

In casa Piaggio avevano problemi con gli insetti. Prima la Vespa, poi l’Ape, invece di ricorrere al flit, subito dopo la guerra trasformarono l’azienda di aerei ed elicotteri, in motoscooter e affini. Vista la forma dei modelli i signori Piaggio scelsero quei nomi che se abbinati agli insetti provocano fastidi e nervosismi, ma a bordo degli stessi, veicoli intendo, stimolano il piacere di un viaggio leggero.

La premessa per dire che dopo anni settantasei di storia e produzione la Piaggio ha deciso di abbandonare Pontedera e di trasferire la produzione dell’Ape a Pune, località dell’India famosa per avere tenuto prigionieri, subito dopo la guerra, Gandhi, la moglie e l’assistente. Questi ultimi morirono ai domiciliari nell’Aga Khan Palace, il Mahatma riuscì a resistere.

Incominciamo a dire che in India il motocarro a tre ruote ha l’accento sulla seconda vocale, dunque Apé, ma il prodotto è identico e da quelle parti fanno la fila, immaginate come, per acquistarne un modello.

Finisce un’epoca fantasiosa e umile, se la Vespa era ed è roba da vacanze romane e no, l’Ape ha rappresentato il mezzo di trasporto dei contadini, veicolo da lavoro che ha sostituito il calesse, il carro, tre ruote meglio che due, abitacolo ristretto ma cassone per raccogliere legname, frutta e verdura, fogliame e arnesi qualunque.

Scomparsi nel nord Italia resistono eccome nel Sud, dico le campagne là dove li trovi (il veicolo è maschile) dovunque, a volte zigazagano per tratturi impossibili, li percepisci a chilometri di distanza per lo scoppiettio del motore, quando ci sali a bordo ritorni bambino sulle automobiline delle giostre, ma qui metti in moto e vai, manubrio al posto del volante, preferibile non pigiare troppo sull’acceleratore perché si rischia il ribaltamento del contenuto e del contenitore.

Per il pubblico dei fighetti quelli della Piaggio avevano pensato all’Ape cross, per i turisti l’Ape calessino. Non è da trascurare che la famiglia, già illustre dal primo Novecento nel mondo dell’imprenditoria, trovò ulteriore pubblicità con l’arrivo in araldica di Antonella Bechi, figlia di Paola dei conti Antonelli, adottata dal suo secondo marito, Enrico Piaggio. Antonella andò sposa a Umberto Agnelli. La coppia ebbe come figlio Giovanni Alberto che a Pontedera andò al tornio, con falso nome per apprendere l’arte e metterla da parte, per poi diventarne il presidente. “Giovannino” morì giovanissimo di cancro, come era accaduto subito dopo la nascita ai suo fratelli Alberto ed Enrico. La madre, Antonella, chiuse a sessant’anni la propria vita a causa di un infarto.

Dentro questo quadro c’è la storia della Piaggio e dell’Ape per tutti, una fetta dell’Italia che sapeva e voleva produrre, una terra, quella di Toscana, di nobiltà e di contado, l’Ape era come un lusso rurale prima di essere un affare.

Cambiati i tempi, sono cambiati i proprietari, dal 2003 i Colaninno sono subentrati ai Piaggio e agli Agnelli, una piccola quota è di Della Valle, sono cambiati i gusti, i gesti, le abitudini, l’Apé riempirà sempre di più le strade indiane, gli ultimi esemplari nostrani ronzano lungo i tratturi del Sud. Tra qualche tempo saranno pezzi da collezionisti, conserveranno memorie antiche e, insieme, l’odore di carciofi e cime di rape.Pubblicità

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