C’è l’Italia degli spioni infami, in questo caso infrattati dentro a una agenzia altolocata nel centro di Milano, titolare un tizio che si serve di ex servitori dello Stato e al quale abbiamo anche affidato la presidenza dell’Ente Fiera di Milano. Poi c’è l’Italia che degli spioni si serve, pagando bene, tra gli altri il rampollo Del Vecchio, quello del prestigioso Made in Italy di un’azienda fiore all’occhiello, la Luxottica, un rampollo che come prime mosse, per continuare le glorie del padre industriale, cerca di comprare il Twiga da Briatore, e soprattutto si attrezza col suo bravo dossieraggio contro il fratello – non disdegnando neanche di costruirgli attorno un’ipotetica frequentazione di transessuali -, ma anche contro la stessa fidanzata, facendole mettere un aggeggio nel telefono per sapere sempre dove va e con chi ci va.
Diciamolo: non è per niente simpatico vivere in questa Italia. In un’Italia così sbalestrata e sbilanciata, mandata avanti da una metà che lavora bene e tanto al proprio posto, tutti i giorni, senza clamori e senza scalpori, regolarmente nell’indifferenza degli apparati informativi perchè non fa notizia, mentre l’altra metà passa il suo tempo a intrigare, trafficare, tradire. Direbbe il Papa che c’è troppa mafiaggine in giro: classica con i suoi metodi sanguinari, ma anche di ultima generazione con i suoi metodi disgustosi del ricatto, previo approvvigionamento di notizie riservate, previo rapimento di persona, inteso come il se stesso di ciascuno, con la sua intimità, la sua riservatezza, i suoi segreti più preziosi. E’ un’Italia schifosa, che però a quanto pare tiene in mano da sempre i fili di tutte le marionette, manovrandole a piacere secondo interessi e appartenenze. E’ un’Italia che volentieri tutti vorremmo lasciare, partendo verso una nuova emigrazione, destinazione normalità, onestà, serietà, rigore morale, pulizia politica. Ma è un’Italia che col passare dei decenni non possiamo lasciare mai, perchè ci trattiene e ci accerchia con la sua specialità peggiore, quella specialità del made in Italy che abbiamo conosciuto a partire dal dopoguerra nell’epoca più bella e più fragile, quella della democrazia e della libertà: la specialità funesta di tramare trame.
E poi c’è il risvolto comico, uno spasso totale se non fosse una vera tragedia nazionale: i controlli e i controllori. Quando noi dobbiamo registrarci da qualche parte manca solo che ci chiedano le analisi del sangue, basta avere presente la logica (?) dello Spid per capire cosa intendo dire, poi si scopre che un cialtrone qualunque, in una filiale pugliese della banca più grande e titolata, Intesa San Paolo, può tranquillamente sguazzare tra un conto e l’altro degli italiani. O che una titolata agenzia milanese tiene tutti per le bip sgraffignando dati a piacimento, con facilità irrisoria.
Da un Paese così, da un sistema così, bisognerebbe davvero dimettersi. Poi però succede di fare caso che in questa stessa palude di porcherie e ricatti c’è anche qualcuno che ancora prova a fare la sentinella, andando a scovare i perfidi nelle loro sordide tane, tanto che tutti adesso sappiamo come funziona il satanico giocattolo. Qualche magistrato, qualche agente, qualche italiano ancora provano a fare la guardia, rimanendo in trincea e tentando valorosamente di respingere l’assalto. E allora si finisce per credere che in fondo c’è ancora una speranza, che non tutto è perduto, che non sempre vincono gli stessi. E quindi non si scappa, neppure stavolta. Ma è dura.