QUANT’E’ TRISTE CHE A SCUOLA MUOIA IL CORSIVO

Il corsivo è un breve scritto giornalistico, spiritoso, ironico, satirico, oppure critico o provocatorio, ma soprattutto il corsivo è un modo di scrivere inteso come azione manuale, una delle palestre della nostra fanciullezza, quando si impara a tenere in mano una matita, un penna e cavarci qualcosa che abbia un senso e possibilmente anche un’armonia grafica.

I trattini, le aste, le linee che uniscono le lettere, roba fine che richiede pratica e allenamento, non roba che si improvvisa, ma anche la via di accesso per la vita adulta, perché a pensarci bene la firma, il nostro nome e cognome fieramente posti in calce a qualsiasi documento, certifica la nostra capacità di intendere e di volere e il raggiungimento della maggiore età.

“La Sapienza”, l’università intendo, la sa lunga e a seguito di accurata ricerca ci informa che nelle scuole elementari romane un alunno su cinque ha seri problemi con il corsivo, non lo usa o non sa scrivere in quel modo. Mentre sui social c’è la squinternata che insegna a parlare in corsivo, a scuola non s’impara a scriverlo. Solo stampatello.

A seguire tutta la disamina, in parte prevedibile ma non per questo meno vera, sulla prevalenza del digitale, sulla prevalenza delle tastiere touch e quindi dello stampato maiuscolo o minuscolo come modello ormai imprescindibile, sulla involuzione della manualità fine, ridotta alla pressione di un tasto virtuale per ogni necessità. Tutto vero e tutto incontestabile, qualsiasi nonno con un orto da curare potrebbe confermare che son tutti capaci di scovare un tutorial su internet che spieghi come piantare i pomodori o come zappare la terra, ma quanti son poi capaci davvero di piantare pomodori e zappare la terra a regola d’arte?

Nessuna offesa per gli zappatori, come si vede, sebbene un tempo tale pratica venisse offerta come alternativa inevitabile allo studio. Fatto sta che l’analisi e il vaglio della “Sapienza” funzionano, ma funzionano fino a un certo punto.

E infatti a un certo punto ci viene detto che «La scrittura è una competenza da apprendere, ma non viene indicato con chiarezza qual è il metodo più efficace attraverso il quale questo importante strumento di comunicazione può essere appreso. Mentre per la lettura è assodato che il metodo di apprendimento più efficace per tutti i bambini è il metodo fono-sillabico e nella gran parte delle scuole è stato abbandonato il metodo globale, per la scrittura non si è ancora aperto il dibattito educativo» (Di Brina e Caravale, come riportato da “Il Messaggero”).

E a un certo punto io non capisco più un tubo e men che meno capisco il corsivo. Ma come, io, tu, noi, tutti siamo stati alle scuole elementari e tutti abbiamo imparato a scrivere in corsivo: qualcuno bene, qualcuno così così, qualcuno dalla scrittura da gallina già si capiva che avrebbe fatto il medico, ma insomma, perché all’improvviso dovrebbe essere una questione di metodo?

Vorrei metterne tre di punti interrogativi in realtà, vorrei capire perché anche i miei compagni più somari riuscivano alla fine a scrivere in corsivo e quel venti per cento invece oggi non dovrebbe farcela per via del metodo.

Un tempo uno non sapeva scrivere in corsivo perché a scuola non ci andava o non ci poteva andare e ora invece scopriamo che manca il metodo. Sarà l’innovazione, mi dico. Oppure, più probabilmente, i corsivi e i ricorsivi storici.

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