QUANTE IPOCRISIE NEL CIBO MADE IN ITALY

di PAOLO CARUSO (agronomo) – Dalla 7a edizione dell’Osservatorio ‘Immagino’ emerge che il paniere di prodotti che richiamano in etichetta la loro italianità, con claim come “Prodotto in Italia”, “Made in Italy”, le denominazioni di origine quali Dop, Igp, Doc, Docg, vale oltre 7,4 miliardi di euro di fatturato soltanto nei punti vendita della grande distribuzione.

La fama che il ‘Made in Italy’ ha saputo costruirsi rimanda alla promessa di un’esperienza organolettica di qualità, avallata, a norma di legge, dall’obbligo di indicare in etichetta il luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale e la coltivazione o l’allevamento della materia prima agricola prevalente di alcuni prodotti tra cui latte, formaggi, riso, pasta e conserve di pomodoro.

Il settore agroalimentare è un vero fiore all’occhiello della nostra economia, grazie alla straordinaria ricchezza del nostro Paese in termini di condizioni pedoclimatiche, biodiversità, tradizioni e capacità di innovazione.

La cucina italiana è tra le più apprezzate al mondo e la dieta mediterranea è stata dichiarata dall’UNESCO patrimonio immateriale dell’umanità. E cosa c’è di più iconico e rappresentativo di un piatto di spaghetti, con salsa di pomodoro, conditi con un filo d’olio e una foglia di basilico?

Questa ricetta appartiene alla storia e allo stile di vita di questo Paese: il primo testo che cita la pasta al pomodoro risale al 1839 ed è un libro di cucina scritto da Ippolito Cavalcanti, proprio nel periodo in cui questo piatto ebbe la massima diffusione.

Ma quanti di questi ingredienti vengono veramente prodotti in Italia? Quanto sappiamo della loro provenienza e cosa si nasconde dietro ai prezzi di vendita?

Ovviamente l’Italia non è un Paese autosufficiente dal punto di vista alimentare e per alcuni prodotti deve necessariamente far ricorso alle importazioni; ad esempio importiamo dal 30 al 60% del nostro fabbisogno di olio extravergine di oliva soprattutto da Spagna, Grecia e Tunisia, a seconda dell’entità del raccolto nella nostra penisola.

Per questo motivo, a parte le poche bottiglie prodotte con olive al 100% italiane, negli altri casi l’olio extravergine è una miscela di materia prima nazionale con una quota rilevante di olio estero.

Un segnale inequivocabile della provenienza della materia prima presente nell’olio lo si percepisce dal prezzo allo scaffale: è impossibile, anche solo immaginare, che un olio extravergine di oliva italico di qualità possa costare meno di 7/8 euro al litro.

Stesso discorso per la pasta: l’Italia importa il 20-30% di grano duro soprattutto da Canada e Paesi dell’Est Europeo; queste importazioni erano giustificate dai maggiori produttori dalla superiore qualità, soprattutto proteica, del grano estero rispetto a quello italiano.

Ma le polemiche sull’utilizzo di glifosato, soprattutto in Canada, hanno inciso sulle scelte del consumatore, che attualmente sembra prediligere l’acquisto di pasta prodotta con grano nostrano, con conseguente adeguamento dei grandi marchi di pasta a produrre pasta 100% italiana.

Per il pomodoro la situazione è leggermente diversa: tecnicamente (e statisticamente), siamo in grado di soddisfare il fabbisogno interno, ma nel 2016, secondo i dati dell’agenzia delle dogane, sono arrivate in Italia 92mila tonnellate di triplo concentrato made in China, che passa da noi, viene trasformato ed esportato, alla faccia del ‘Made in Italy’.

Il dato certo è che il nostro pomodoro, rispetto al pomodoro cinese o nord africano, è assolutamente fuori mercato: in Cina e in Africa i costi di produzione sono significativamente più bassi dei nostri.

A fronte del costo di 80-100 euro/giorno di un nostro operaio, in Cina e in Africa, un addetto alle stesse operazioni colturali costa al massimo 5 euro al giorno. Inoltre il pomodoro cinese viene concentrato e trasformato in enormi agglomerati industriali, più simili a industrie chimiche che a stabilimenti alimentari.

La situazione in Italia è molto complessa: è impensabile reclutare manodopera locale disposta a raccogliere pomodori 8 ore al giorno per poche decine di euro.

L’unica alternativa percorribile per gli imprenditori agricoli del settore rimane l’impiego di operai extracomunitari in nero a 20/30 euro al giorno, con le conseguenti accuse di tipo etico, morale oltre che giudiziarie per il reato di caporalato.

Siamo davanti a una grande ipocrisia di fondo: vogliamo mangiare bene, sano, pulito, locale, dobbiamo certamente rispettare i diritti di tutti, siamo sempre pronti ad additare comportamenti irrispettosi della dignità umana, ma vogliamo pagare il meno possibile il prodotto allo scaffale.

Come se ne esce?

Intanto informandoci sulla provenienza del cibo che acquistiamo e chi può spenda qualcosa in più, privilegiando la spesa alimentare ad altri tipi di compere. Il cibo scadente è spesso causa di patologie.

Ma anche le Istituzioni devono fare la loro parte: una buona soluzione, anche se temporanea, potrebbe essere quella della paventata introduzione – nel DL Agosto del governo – di un bonus, anche come credito di imposta, per l’acquisto di prodotti agroalimentari italiani al 100%.

Un provvedimento che potrebbe rilanciare i consumi, con ricadute positive su tutto il settore agroalimentare del nostro Paese. Una misura che immetterebbe da subito una significativa quantità di liquidità nel sistema.

Ma occorre fare molta attenzione all’effettiva coincidenza tra buoni propositi e dati oggettivi: potrebbe capitare che il legislatore, non si sa quanto consapevolmente, vanifichi le legittime aspettative. Ad esempio, all’inizio di luglio l’Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura), un ente pubblico che si occupa, tra le altre cose, di destinare parte del surplus della produzione agricola agli indigenti attraverso gare pubbliche, ha pubblicato una gara d’appalto per consentire allo Stato l’acquisto di olio extravergine di oliva a partire da una base d’asta di 3,2 euro al litro.

E’ evidente che questo limite di prezzo azzera la possibilità che l’olio sia prodotto con olive italiane: il bando di gara infatti, oltre a fissare il prezzo e il requisito della tracciabilità, non definisce l’origine del prodotto.

Ad aggiudicarsi la gara d’appalto, ormai conclusa, sarà un imbottigliatore di olio proveniente da altri Paesi europei, o miscelato con olio extraeuropeo. Alla faccia del “Made in Italy”.

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