QUANDO INCONTRAI GERD, GIA’ COSI’ LONTANO

di TONY DAMASCELLI – A Nordlingen venivano giù le bombe nel Quarantacinque. Gli alleati allestirono un campo profughi e la famiglia Muller provvide a ridare un senso a quella parte di Baviera colpita dalla guerra. Nacque Gerard, sabato tre di novembre. Non c’era troppo da giocare con il pallone, tra le macerie e l’aria malsana del nazismo. Johann Heinrich e Christina Karoline andarono alle spicce, Gerd. Non avrebbero immaginato che il pupo sarebbe stato definito Der Bomber Der Nation.

Non c’entrava la guerra ma la tendenza del figlio a mettere il pallone in rete. Gerd andò garzone in un mobilificio ma il fussball era l’occasione per venire via dalla paura, giocava con il 1861 Nordlingen e andava al sodo, gol e basta. Non un gran fisico, anzi uno sgorbio con il sedere basso, eppure con gambe rapide e fiuto indispensabile nei famosi sedici metri. Lo videro quelli del Bayern di Monaco, al tempo in serie B, con cinquemila marchi i bavaresi portarono via il ragazzino, incominciò l’avventura in cambio di marchi 145 al mese, sempre meglio degli armadi e comò d’avvio.

Il resto non è cronaca e nemmeno storia. Il resto è leggenda. Gerd Muller è stato il più grande attaccante di Germania, lo dicono i numeri, dunque i gol, 1461 tra amichevoli e gare ufficiali, con il Bayern 568 in 611 partite, in nazionale 68 su 62, primatista con 40 reti in Bundesliga, record detenuto dal 1972 ed eguagliato da Levandoski con lo stesso club, quattro campionati tedeschi, quattro coppe di Germania, tre Coppe dei campioni, una Coppa delle coppe, 1 Coppa intercontinentale, 1 campionato mondiale, un campionato d’Europa.

Altre novità? Molte, compresa quella lite con i capi del calcio di Germania che non vollero invitare mogli o fidanzate dei calciatori per la cena di gala post mondiale, limitando i tavoli e le riverenze alle consorti dei dirigenti. Gerd si ricordò del mobilificio e decise di sbattere le quattro ante degli armadi in faccia alla Federcalcio, fine della sua storia con la nazionale, meglio l’amore di Uschi, moglie e compagna a tavola, riservata.

Se ne andò poi in Florida per i dollari del Fort Lauderdale, l’esilio voluto lo portò a consumare vino e vari alcol, la malinconia prese il posto dell’inno alla gioia. Gli Hoeness lo riportarono in patria, offrendogli il lavoro di assistente allenatore. Non era più il suo fussbal, non era più Gerd, quel Muller che stramaledicemmo la notte di Italia-Germania quattroatre, due gol su fantozziane incertezze di Poletti e di Rivera, il primo inciampando sui propri limiti, il secondo abbracciato come un ciuco al palo di Albertosi. D’accordo, vincemmo noi grazie al Gianni del palo, ma Muller aveva lanciato i coriandoli e avrebbe in seguito segnato la storia.

Da sei anni aveva smarrito l’esistenza vera, l’Alzheimer e le scorie dell’alcol avevano rubato i suoi occhi di lampo, lo avevo incontrato a Monaco e mi sembrò nuotare nella nebbia, Uli e Dieter Hoeness mi fecero capire. Si era addormentato da tempo, come ha detto Uschi. Forse sognando. L’ultimo suo gol.

Un pensiero su “QUANDO INCONTRAI GERD, GIA’ COSI’ LONTANO

  1. Fiorenzo Alessi dice:

    Egr. Dott. Tony Damascelli,

    Quando se ne vanno questi fuoriclasse, ed in questa angosciante maniera, come se fossero persone “di famiglia” ti accorgi di quanto vigliacca possa essere la vita.
    Se li porta via, dopo avergli tolto il ricordo di chi sono stati.
    Non sarà consolatorio, ma chi ama lo Sport tutto , quel ricordo lo porterà sempre nel cuore.
    Cordialmente.
    Fiorenzo Alessi

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