QUANDO IL CALCIO SI PRENDE A CALCI

di TONY DAMASCELLI – La situazione del calcio italiano è grave ma non è seria. Così diceva Flaiano non riferendosi tuttavia al football, soltanto perché ha avuto la fortuna di non conoscerlo. Dico del football contemporaneo, nel quale la confusione regna sovrana, non si sa bene chi comandi, perché, per chi, per che cosa, come e quando.

Dicono: ma le riunioni della Lega e i consigli federali. Ma sono assemblee condominiali, strepitano, urlano, volano insulti e bicchieri, c’è un grande agitare di mani, non trovano un accordo nemmeno per l’ordinazione al bar, discutono sul cappuccino e sul toast, fanno i dritti sui diritti tivvù, cambiano i calendari, ricusano gli arbitri.

Quest’ultimo turno ha ribadito che anche in campo la regola principale è il libera tutti. Gli arbitri se la spassano con il Var, lo usano come una zip dei pantaloni  o della giacca a vento, aprono e chiudono la cerniera, dipende dall’umore e dall’angolazione della telecamera, fischiano un rigore dubbio, non intervengono su un rigore plateale, distribuiscono ammonizioni con il piacere di esibire il cartellino, non dialogano, non spiegano il motivo della decisione.

L’assenza di pubblico ha portato poi all’esaltazione degli strilli e dei gemiti, atleti supertatuati, con anelli e orecchini, creste punk o teste rasate, alla prima ombra di un difensore alle loro spalle, stramazzano come fossero stati giustiziati sul posto e lanciano l’urlo di dolore, straziante, contorcendosi sul prato già zuppo di scaracchi (chiedo scusa per l’immagine ma di questo trattasi, non di margherite e quadrifogli), portando le mani al viso, per la sofferenza, ma aprendo appena uno spiraglio tra un dito e l’altro, per sbirciare se l’arbitro abbia assegnato il penalty.

Questo è diventato il calcio, al di là del virus che è una cosa seria e drammatica. Questo è diventato il nostro calcio. Ovviamente domani sera tutti a tifare la Dea a Madrid. Tutti, beh quasi tutti.

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