QUANDO I BABY-BULLI PESTANO PURE LE MADRI DELLE LORO PREDE

Poveri piccoli, così implumi e così segnati dalla vita. Così sfregiati da dover sfregiare altri per pareggiare i conti.

Le baby gang, proprio loro. Uno pensa a ragazzini figli del disagio sociale e forse la indovina, se li consideriamo refusi di famiglie che non educano più, che non sanno e non vogliono sapere come occupano il tempo i propri figli, sbarbati e sgarbati, quando va bene.

L’ultimo, o forse già penultimo episodio a Vigevano. A causa di una banale dimenticanza, una madre segue il figlio undicenne sulla via della scuola e lo scopre vittima di un gruppo di simpatiche canaglie che lo provocano, gli mettono le mani addosso, gli chiedono soldi. Non è certo la prima volta, ammette l’undicenne, è però la prima volta che vengono colti sul fatto e affrontati dalla madre, la quale accorre, ma loro non solo non si ritraggono, il capetto tredicenne in particolare, ma contrattaccano con calci e pugni. Anche a lei, soprattutto a lei, una preda imprevista e imperdibile.

La verità è che non ci sono stereotipi ai quali aggrapparsi qui, il nord, il sud e i paralleli, le famiglie disagiate, l’estrazione sociale e blah blah blah.

Parlerei più di distrazione sociale, tragica, e della quale si trascura la portata. Si finisce come al solito con l’apparire passatisti e nostalgici, ma mi si contraddica: quali sono sempre state per un genitore le preoccupazioni e le apprensioni più grandi, se non sapere che i propri figli si comportassero in modo onesto, educato, rispettoso, ancor prima che saperli figli di successo o dal profitto ammirevole?

Io non so se sia ancora così. La mamma vessata dice che vorrebbe creare un comitato di genitori coinvolti e va bene. Accadrà che anziché avere lo schieramento e il supporto unilaterale di tutti i genitori, quelli coi figli umiliati e offesi e quelli coi figli aguzzini, si creeranno fazioni contrapposte a sostegno dei propri pargoli, tutti piccoli innocenti e bravi frugoletti, gli angeli come i diavoli. Scommettiamo?

E nessuno a mortificarsi, a scusarsi, a vergognarsi per aver ignorato che i propri marmocchi venivano educati sotto il segno della legge del più forte, del più prepotente, del più imbecille. Sotto il segno della legge della negligenza, della superficialità, della contumacia.

Nessuno a correre per afferrare le orecchie dei loro figli, resi odiosi dall’incuria e dalla mala educazione, nessuno a riconoscersi colpevole davanti allo specchio.

E poi, a proposito di stereotipi, nemmeno ci si può appellare al genere, perché neppure le ragazzine scherzano in fatto di prepotenze, il culto del macho capobanda si è impossessato pure di loro.

Sarebbe il momento di urlare in faccia ai ragazzini insolenti e sfrontati che il bullo prepotente è un perdente senza speranza, uno a cui dare una pacca sulla spalla perché non ci arriva, uno sfigato, uno a cui urlare in faccia quali sono le cose che rendono uomini veri.

Urlare oppure sussurrare, gentilmente, comunque con convinzione e fermezza. Anche se il problema temo non stia nel tono o nel registro: urla o sussurri, qualcuno parla o ha mai parlato a questi desolanti bulletti, in qualche modo?

Una parola, un gesto, un esempio, un insegnamento. Un’impronta, niente. A che vale poi, tanto è un mondo così, la risacca dei tempi tutto cancella, niente rimane, figuriamoci un’impronta.

Questo è il pensiero sempre più dominante, inconscio e inconsapevole, nemmeno formulato.

Quale esempio, quale insegnamento, solo una gran rottura di bulli.

 

 

 

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