QUANDO ARRIVANO I NOSTRI E SONO CUBANI

di MARIO SCHIANI – Se è propaganda, allora viva la propaganda. Molto meglio delle parate militari di Kim Jong-un che spesso lo tira fuori, l’arsenale, per far vedere al mondo quanto ce l’ha grosso. Meglio dei contratti che il leader cinese  Xi Jinping va stipulando in tutto il mondo, legando così a sé in un silenzio complice Paesi grandi e piccoli i quali, le casse impinguate di Renminbi, sorvolano d’un tratto su sottigliezze come democrazia e diritti umani.

Meglio Cuba, insomma, della Corea del Nord e della Cina, se l’arma di diffusione del verbo castrista è rappresentata da una pattuglia di medici che va in giro per il mondo ad aiutare le nazioni in emergenza sanitaria. La via cubana al socialismo rimarrà sospetta ai più, ma era dai tempi di “Buena Vista Social Club” che da laggiù non arrivava qualcosa di altrettanto armonioso.

I medici cubani sono diretti in Piemonte, regione particolarmente alle corde a causa dell’emergenza Covid. I dati più recenti parlano di oltre centomila casi accertati di positività al virus, e di 4.100 decessi. Siamo lontani dai numeri della Lombardia, ma la popolazione del Piemonte, al confronto, è meno della metà di quella lombarda. E anche le strutture sanitarie, per numero di posti letto e personale operativo, non reggono il confronto: la “seconda ondata” è dunque critica e l’aiuto cubano non sarà trascurabile.

Per i medici di Cuba si tratta di un ritorno: già nel marzo scorso erano venuti in Italia, lasciando un buon ricordo, tra l’altro, visto che le autorità della città di Crema non ebbero esitazioni a sostenere la candidatura della “brigata Henry Reeve”, così si chiama la squadra medica itinerante, al premio Nobel per la pace.

Henry Reeve era un nordamericano che nel XIX secolo si batté per l’indipendenza di Cuba contro il regime coloniale spagnolo, lasciandoci la pelle a 26 anni. Un esempio di generosità e internazionalismo: per questo accompagna il nome della formazione cubana che sui documenti ufficiali risulta tuttavia come Contingente Internacional de Médicos Especializados en Situaciones de Disastres y Graves Epidemias, un particolare che chiarisce come mai i discorsi di Fidel spesso si prolungassero per quattro o cinque ore.

E’ forse lecito a questo punto chiedersi come mai Cuba sia in grado di presentarsi al mondo con tanta generosità nel bel mezzo di un’epidemia che certo non ha bisogno di visti per muoversi di continente in continente e di Paese in Paese. Stando ai numeri ufficiali – la precisazione è doverosa comunque, ma in particolare quando si parla di nazioni rette da regimi totalitari come Cuba, l’Ungheria e la Campania – nell’isola sono stati registrati a oggi 7.300 casi e 130 decessi, dati da proiettare su una popolazione di oltre 11 milioni. Se l’epidemia è relativamente sotto controllo, non così l’economia: già colpita dall’inasprimento dei rapporti con gli Usa stabilitosi durante l’amministrazione Trump – una svolta che ha influito, rallentandolo, sul processo di “modernizzazione” anche politica del Paese -, è ora messa in ginocchio proprio dall’epidemia, che di fatto ha azzerato il turismo.

Si capisce dunque come la brigata Henry Reeve rappresenti uno dei pochi beni cubani ancora esportabili, più salutare dei sigari e più concreta di quelle spiagge e di quei palmizi che per ora si possono soltanto immaginare. Se due angoli del mondo molto diversi come Cuba e il Piemonte si ritrovano affratellati nel momento del bisogno, ben venga quel tanto di interesse propagandistico che l’operazione neppure si sforza di nascondere. Né con il daiquiri né con il barolo guariremo dal Covid, sia chiaro, ma entrambi, a dosi ragionevoli, male non fanno. Anzi.

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