Non sempre si tratta di Sgarbi epocali, in tema di virus il meglio lo diede due mesi fa – ne parlai su altropensiero -, quando sosteneva che giusto di un’influenza o poco più si trattava e che la si smettesse di rompere l’anima. Questo quando a tutti era evidente esattamente il contrario. Ma il coro è il coro, il solista è il solista.
Dei grandi si ricordano i capolavori, la Gioconda, la Cappella Sistina, la Venere di Milo, ma le imprese meno titolate non sono meno appassionanti. Aiuta essere un po’ fissati, anche questo lo ammetto, ma non è che uno le cerchi con il lanternino le occasioni. Capitano, poi uno vede quel che ci vuol vedere, come sempre.
Dopo due mesi e mezzo faccio visita ai miei genitori, clemenza della fase 2, mangio con loro e con loro assisto al dibattito in Parlamento che segue l’informativa di Franceschini, ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo. Ed eccolo lì Sgarbi, seduto a testa bassa a leggere e digitare compulsivo sul telefonino. Del resto, per lui era solo un’influenza, capisco che si annoi.
Già questo mi indispone, bacchettone che non sono altro. È malcostume generalizzato, anche il ministro viene più volte beccato a sbirciare lo smartphone disposto in bella vista, e nel bel mezzo della filippica della Gelmini, lo si vede digitare con buon piglio pure lui.
Mi si dirà che il ministro e i deputati hanno mille adempienze a cui sottostare, mille questioni da affrontare, fanno una cosa e nel contempo ne fanno mille. Dal che si deduce che tutti i parlamentari dell’era pre-telefonia mobile erano dei fannulloni impenitenti. Ascoltavano e basta, al massimo facevano disegnini o bisbigliavano al compagno di banco. Capaci tutti. Tranquillizzo, la compulsione smart è un virus che precede di molto quello attuale. Altro che chiedere agli studenti di spegnere o lasciare il telefono alla cattedra, ai parlamentari dovremmo chiederlo. Poi uno passa per moralista, o moralizzatore, pazienza.
Scorrono gli interventi, ogni tanto l’inquadratura, impietosa, ritrae il Vittorio nazionale, ma niente da fare, è sempre il telefono a farla da padrone. Non che io nutra dubbi, lui può digitare e seguire gli interventi senza perdere una virgola di quello che i colleghi stanno dicendo, ma non è questo.
È troppo chiedere che chi occupa quel luogo, quel ruolo, chi assume quella responsabilità assuma anche un contegno che fa del rispetto il principio guida? Rispetto per chi parla e rispetto per chi li vota e da casa li ascolta e li osserva?
Risposta, sì è troppo. Perché io sono appassionato di Sgarbi, ma ce n’è per tutti i tifosi. Io provo imbarazzo, e provo imbarazzo anche ad argomentare, come sempre mi accade di fronte a comportamenti che reputo spropositi. Perché argomentare di fronte all’evidenza? Sempre che sia evidenza, e me lo chiedo.
Poi attenzione, tocca a lui. Si alza, con naturalezza espone le sue ragioni e le espone con intelligenza, con arguzia. Mi trovo d’accordo su molte questioni, non tutte. Dice a un certo punto che come son rimasti aperti i supermercati dovevano rimanere aperti i musei, altrettanto essenziali, e le spiagge. Ma credo che in fondo lui sia ancora convinto dell’influenza o poco più, altrimenti come non capire che nel clou dell’emergenza si trattava di diminuire all’osso qualsiasi occasione di incontro, anche solo potenziale, ma mangiare bisognava mangiare?
Dura poco il suo intervento, compìto in fondo, a parte una fugace battuta sull’avvenenza della Boschi, intervento formalmente impeccabile, come sa fare lui. Nessuna ironia qui. Poi si risiede, lui, e torna al suo schermo. Io invece mi alzo e chiamo quel mio amico hacker, chissà…