PREPARIAMOCI: STA PER SCOPPIARE LA BOLLA DEL CIBO, NESSUNO SI SALVERA’

Pochi giorni fa è apparso un interessante articolo a firma di George Monbiot sul “Guardian”, dal titolo “The banks collapsed in 2008 – and our food system is about to do the same”.

Il pezzo evidenzia un parallelismo tra il collasso del sistema bancario del 2008 e l’attuale situazione del sistema alimentare

L’articolo pone l’accento sull’eccessiva concentrazione di potere nelle mani di pochi grandi produttori di cibo e mezzi tecnici, e sulla scarsa capacità o volontà di regolamentazione delle autorità preposte, ovvero una riproposizione di quanto accaduto nel settore finanziario in conseguenza dello scoppio della bolla, partita dalla crisi dei mutui subprime americani.

Con la differenza che mentre il crollo della finanza ha poi visto il massimo impegno della comunità politico-finanziaria, di contro un sostanziale disinteresse accompagna il deflagrare della crisi alimentare.

Ma fino a quando si potrà ignorare questo stato dell’arte?

I segnali che delineano scenari nefasti si fanno sempre più evidenti ed intensi: l’attuale impennata dei prezzi dei generi alimentari si segnala come l’ultimo allarme, in ordine di tempo, di instabilità sistemica.

La vulgata comune imputa alla combinazione tra la pandemia e l’invasione dell’Ucraina la principale, se non unica, causa di questo disastro. Ma sebbene entrambi siano fattori importanti, essi non hanno fatto che aggravare un problema di fondo.

Le statistiche infatti indicavano fino a qualche anno fa un calo della popolazione mondiale colpita dagli effetti della fame nel mondo: il numero delle persone denutrite è sceso da 811 milioni nel 2005 a 607 milioni nel 2014. Ma nel 2015 la tendenza ha cominciato a dare i primi segnali di inversione.

Da 650 milioni di persone mal nutrite nel 2019 si è passati a 811 milioni nel 2020. E i segnali sul 2021 sono tutt’altro che confortanti.

Ma il paradosso è che la produzione alimentare globale è in costante aumento da oltre mezzo secolo, superando abbondantemente l’incremento demografico.

Le cause che Monbiot segnala come responsabili dell’attuale situazione sono imputabili alla complessa struttura del sistema cibo, fatta da miliardi di interazioni, come accade per la finanza globale.

E’ un sistema che evidenzia limiti strutturali notevoli: pochissime società controllano il 90% del commercio mondiale di cereali. Le stesse società controllano il mercato di sementi, prodotti chimici, impianti di trasformazione, confezionamento, distribuzione e vendita, al dettaglio e all’ingrosso.

Nel corso degli ultimi 18 anni, il numero dei collegamenti commerciali tra gli esportatori e gli importatori di grano e riso è raddoppiato: si parla ormai di “super-importatori” e “super-esportatori”.

Anche le problematiche di tipo logistico-geografico fanno la loro parte: gran parte del commercio mondiale di granaglie passa attraverso snodi cruciali come la Turchia, i canali di Suez e Panama e lo stretto di Gibilterra.

Ogni minimo segnale di instabilità politica, come quelli attualmente in corso in queste zone, si riverbera nel normale andamento del commercio alimentare mondiale, amplificando i rischi della globalizzazione del commercio alimentare, che sta purtroppo mostrando tutti i suoi limiti.

Di recente Sara Menker, CEO della società di analisi agricola Gro Intelligence, ha dichiarato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che la guerra tra Russia e Ucraina “ha semplicemente aggiunto benzina al fuoco che già ardeva da tempo”, affermando che essa non è la causa principale della carenza di grano. “Una crisi di cui abbiamo avvertito le scosse molto prima che la pandemia COVID 19 mettesse in luce la fragilità delle nostre catene di approvvigionamento”, ha dichiarato la dirigente.

La Menker ha inoltre affermato che, a causa dell’aumento dei prezzi dei principali raccolti di quest’anno, altri 400 milioni di persone nel mondo sono diventati “insicuri dal punto di vista alimentare”, aggiungendo che per quanto riguarda il grano, il mondo “ha attualmente solo 10 settimane di scorte per il consumo globale”.

Dieci settimane di riserve di grano non sarebbero un intervallo temporale insuperabile, ma le stime di un calo generalizzato delle rese in tutto il mondo e la sempre più probabile stretta alle esportazioni da parte di molte nazioni produttrici, induce a un dilagante pessimismo.

La notizia giunge mentre David Beasley, direttore esecutivo del Programma Alimentare Mondiale, ha dichiarato che il mondo sta affrontando “una crisi senza precedenti”, sottolineando che 49 milioni di persone in 43 nazioni stanno “bussando alla porta della carestia”.

E con la carestia arriva anche la destabilizzazione politica.

“Stiamo già assistendo a rivolte e proteste mentre parliamo: in Sri Lanka, Indonesia, Pakistan, Perù”, ha detto. “Abbiamo già visto dinamiche destabilizzanti nel Sahel, dal Burkina Faso al Mali, al Ciad. Questi sono solo segni delle cose che verranno”.

La tragedia del conflitto bellico combattuto nei teatri di battaglia si sta sempre più spostando verso la guerra combattuta nei campi e nei porti: purtroppo anche questa fa e farà molte vittime.

E, si sa, dei future possiamo fare a meno, del grano no.

E Putin il concetto lo ha ben chiaro in testa.

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