PRENDERSELA CON “GREASE”, CHE LIVELLO

di JOHNNY RONCALLI – Non sai mai dove può colpire lo strale, o quasi.

Tocca a “Grease”, era scritto. Sessista, omofobo e misogino. Le nuove generazioni non si riconoscono più, in quel film agli uomini piacciono solo le donne, alle donne piacciono solo gli uomini, non si può!

Ragazzi che sbirciano le mutandine delle coetanee, vietato. Uomini che corteggiano in modo tradizionalmente virile, vietato. Ragazzi che prendono in giro un compagno presunto gay, vietato. E sia.

In generale, si dice, trattasi di nuove generazioni che non si riconoscono più, e passi, ma, oltre a non riconoscersi più, generazioni che hanno una spiccata inclinazione verso la censura. “Grease” va abbattuto, come le statue, come un totem pagano fuori tempo massimo.

Non sono nemmeno un ammiratore sfegatato, lo considero la versione edulcorata di American Graffiti (arriveranno anche lì), ma davvero questo pare il tiro al bersaglio, con un quoziente intellettivo critico minus.

Che una generazione non si rispecchi in libri, film, opere d’arte che hanno appassionato le generazioni precedenti è storia trita e banale, inevitabile, anche se i veri classici non conoscono barriere temporali, tant’è che ancora leggiamo e prendiamo nutrimento da greci e latini. Ho sempre trovato degradante e irrispettoso insultare e denigrare i simboli di chi ci ha preceduto, come se fosse una coccarda al petto dei nuovi idoli.

Basterebbe contestualizzare, avere senso storico, lauree non ne servono. Alla generazione di mio padre, a molti della generazione di mio padre, quelli nati tra anni trenta e quaranta del novecento, i film western piacciono da morire. Sono cresciuto tra pistole, indiani, assedi, sfide all’ok corral e magnifici sette. E Tex Willer. Non proprio l’immaginario della mia generazione, quella successiva, o poco più, ma era naturale provare a comprendere da dove scaturisse quel fascino, quel senso di potere che davano le pistole, sempre e solo immaginarie per altro.

Nella Londra dell’esplosione punk, nel 1977, quando morì Elvis Presley, in molti indossarono casacche e magliette che avrebbero voluto essere dissacratorie, con la scritta “è morta una vecchia checca”, ma, nel tempo, a nessuno sfuggì lo squallore, l’ignoranza e la mancanza di rispetto.

Come avrebbero potuto del resto i punk di allora avere credibilità senza quello spartiacque che fu la generazione di Elvis negli anni ’50? Per quanto conformista e ordinario il vecchio Elvis potesse apparire a un giovane arrabbiato nella Londra di fine anni settanta.

Quanto tristi e poco credibili si appare, se alle proprie ragioni, ai propri valori e convincimenti si affianca la distruzione, la necessità di cancellare il passato senza cercare di capire, senza provare a tenere in vita le opere rileggendole e senza passare il bianchetto sui passaggi che ci indispongono.

Ad ogni modo, lo confesso, le mutandine le ho sbirciate anch’io, non me ne vergogno. E riesco a sorriderne con le ragazze di un tempo. Vietato?

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