PREGIUDIZI (ANTIOCCIDENTALI) E REALTA’

Si può capire perché la propaganda putiniana sulle colpe dell’Ucraina e su quelle dell’Occidente abbia incontrato così tanto successo in Russia. Angelo Panebianco, editorialista del Corriere della Sera, ce lo spiega con un’analisi tanto acuta quanto condivisibile. Sicuramente utile.

Sembra accertato che la schiacciante maggioranza dei russi appoggi Putin e la sua guerra. Ciò esclude la possibilità di un colpo di Stato a breve termine. Chi tentasse la sorte oggi (in futuro si vedrà), presumibilmente, verrebbe considerato dal Paese un traditore, un agente dell’Occidente. Si può capire perché la propaganda putiniana sulle colpe dell’Ucraina e su quelle dell’Occidente abbia incontrato così tanto successo in Russia.

Quando suona una campana sola è normale che i più si bevano le menzogne di Stato. Ma anche in questo caso vale il principio secondo cui le menzogne di Stato si bevono più agevolmente quando si accordano con i pregiudizi diffusi nella popolazione. Nel caso in questione, plausibilmente, sono coerenti con i pensieri e le credenze radicate nella «Russia profonda», quella che guarda con ostilità ai russi di città, a quei ceti medi urbani occidentalizzati che hanno espresso la minoranza contraria alla guerra.

Ma che dire delle democrazie occidentali? Che dire di società in cui suonano tante campane, nelle quali circolano liberamente le informazioni su quanto sta accadendo, ove è possibile per chiunque informarsi? Perché anche da noi ci sono quelli che, a dispetto di ogni evidenza, e senza l’attenuante di vivere in Russia, la pensano più o meno come la maggior parte dei russi? Una minoranza, certamente. Ma presente in molti Paesi occidentali anche se forse ha un peso e una capacità di incidenza maggiori in Italia. A causa del carattere «slabbrato» della nostra vita pubblica, di certe fragilità politiche e istituzionali. Sarebbe un peccato di «politicismo» non collegare le posizioni ambigue assunte da questa o quella forza politica sulla guerra in Ucraina a credenze diffuse nel Paese e che rendono quella ambiguità politicamente remunerativa. Per intercettare coloro che le propugnano c’è chi è disposto a mettere a rischio la sopravvivenza del governo. A costo di spezzare (proprio come vorrebbe Putin) la compattezza del fronte occidentale e di mandare a picco la credibilità internazionale dell’Italia.

C’è qui da noi, come ha scritto Goffredo Buccini (Corriere, 2 aprile) un antiamericanismo diffuso e radicato che viene da lontano e per il quale non c’è differenza fra dire «no alla guerra» o «no all’America»,«vogliamo la pace» o «vogliamo l’Italia fuori dalla Nato».
Mai o quasi mai i pregiudizi radicati possono essere sconfitti da argomentazioni razionali. Per ragioni che gli psicologi sono in grado di spiegare. Da questo punto di vista c’è una notevole somiglianza fra l’indistruttibilità dei pregiudizi della (vasta, come si è visto) platea dei no vax e quella dei pregiudizi diffusi sulla guerra in corso. In entrambi i casi, le argomentazioni razionali si infrangono contro una barriera impenetrabile: nulla è in grado di sconfiggere il pregiudizio, nessuna informazione e nessun argomento sono in grado di aprire una breccia: «Gli scienziati mentono sulla pandemia», «Questa guerra, come tutte le altre, è stata causata dall’Occidente».

Storia pregressa a parte, queste correnti di opinione (si tratti di vaccini o di Ucraina) trovano nella nostra vita pubblica una superiore capacità di incidenza rispetto ad altre democrazie e rendono l’Italia la parte debole del fronte occidentale per varie ragioni. Conta la frammentazione politica e per essa l’accesa competizione entro la maggioranza parlamentare di governo. Lo si è visto in tema di vaccini e green pass, lo si vede ora di fronte alla guerra in Europa. E conta un sistema della comunicazione (si pensi, ad esempio, a certe trasmissioni televisive) nel quale, spesso, è stata cancellata la linea di separazione fra informazione e spettacolo. Con il conseguente trionfo della ideologia «uno vale uno»: si chiama l’esperto ma anche chi, non essendolo, fa tuttavia audience, il competente che dispone di informazioni attendibili e l’incompetente a cui è delegato il compito di straparlare di «dittature sanitarie» o di lanciare invettive moralistiche contro l’Occidente. Resterà negli annali della storia italiana la posizione di coloro che non volevano mandare armi agli ucraini «per non prolungare le loro sofferenze». Come sosteneva, elegantemente, Ennio Flaiano, ci sono sempre quelli pronti alla rivoluzione, pronti a scendere in piazza per fare le barricate usando il mobilio altrui (ucraino, nel caso in questione).

C’è poi un altro elemento che non aiuta a tenere a bada le posizioni dei nostri antioccidentali. Mi riferisco a parti del mondo cattolico e a certe sue ambiguità (o che sembrano tali). Servirebbe forse qualche parola più chiara: la guerradifensiva in cui si sono impegnati gli ucraini contro l’invasore russo è, agostinianamente parlando, una «guerra giusta»? Putin può contare in Italia su una rete di interessi. Ma può contare anche su diffusi pregiudizi anti-occidentali. La maggioranza degli italiani sta con l’Occidente. Ma il Paese non dispone di anticorpi sufficienti per garantirsi contro i danni che può provocare la minoranza diversamente schierata.

Non c’è sovrapposizione, se non marginale, fra movimento no vax e posizioni antioccidentali (e, di fatto, filorusse) sulla guerra. C’è però la stessa attitudine, la stessa disposizione a negare l’evidenza. Giusto a proposito, ci si potrebbe chiedere, ora che il governo ha posto termine allo stato d’emergenza, dove sono finiti quelli che tuonavano contro la dittatura sanitaria, negando che quanto stava facendo il governo fosse necessario. Escludendo che si siano andati a nascondere per la vergogna, si può presumere che siano pronti a impegnarsi in altre battaglie nelle quali sarà di nuovo possibile negare l’evidenza. Ma il punto è che la loro azione non avrebbe spazio se non potesse contare su una non insignificante quota di orecchie attente e ricettive.

È vero che questo è il «prezzo della libertà», è vero che, specificità italiane a parte, il maggior pregio delle società aperte e democratiche è il pluralismo, la coesistenza delle diverse opinioni, ivi comprese quelle dei nemici di tali società. Ma non si calpesta il pluralismo se si nega che tutte le opinioni siano ugualmente degne di rispetto. Ci sono opinioni contro cui non è solo lecito ma è necessario erigere barriere e barricate culturali. Con il mobilio proprio, preferibilmente.

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