POVERO ZAKI, SOLO CON IL SUO SUPPLIZIO

di DON ALBERTO CARRARA – Il caso di Patrik Zaki mette qualcosa che ha a che fare con l’angoscia. Il giovane, studente a Bologna, è accusato dalla giustizia egiziana di attività sovversive. Ma il giudizio non arriva e intanto la detenzione viene continuamente prorogata di 45 giorni in 45 giorni, in attesa, semplicemente, che dicano a Zaki di che cosa è colpevole. Intanto sta in carcere dal febbraio del 2020.

L’angoscia viene dal fatto che di fronte a colpe di cui nessuno sa niente sta questa interminabile detenzione. Se gli avessero detto che doveva stare in carcere per un anno si sarebbe dato da fare per adattarsi psicologicamente a quella scadenza. Invece la scadenza dei 45 giorni è come rinnovare continuamente una speranza per poi, altrettanto continuamente, deluderla. È una vera e propria tortura, un tortura dell’anima che è più micidiale di quella del corpo. E si capisce che Zaki sia “profondamente depresso”, come hanno riferito i familiari.

Ma il caso si complica ancora più tortuosamente per le sue implicazioni politiche e giudiziarie. L’osservatore esterno viene informato che a breve inizierà a Roma un processo da parte della giustizia italiana nei riguardi di alcuni funzionari egiziani che sono accusati di aver massacrato Regeni. Mi dicono che non è serio mettere in rapporto i due casi. Ma nessuno può impedire all’ingenuo osservatore esterno di pensare che, di fronte alla giustizia italiana che sta per giudicare dei funzionari egiziani, i giudici egiziani siano tentati di rispondere con una loro esibizione di muscoli alla iniziativa della giustizia italiana.

E poi c’è la politica. La quale qualche lacrima assicura di averla versata per il caso di Patrik. Ma cosa volete, tra Covid e finanziamenti europei, tra immigrati e beghe tra i partiti, eccetera eccetera, resta poco tempo per pensare a Zaki. E quindi la politica se la cava dicendo che la cosa dispiace. Ma che non si riesce a fare altro. Anzi: non dice neppure che non si riesce a fare altro, perché se lo dicesse verrebbe accusata di averlo detto.

Così il caso Zaki è un bell’esempio di come la persona singola quando è da sola ad affrontare un problema più grande di lei, si accorge proprio di essere singola e sola (per la verità, si sente parlare di manifestazioni pro-Zaki, ma anche tante manifestazioni non possono farci nulla, se non tenere acceso il problema…). E il povero Zaki deve arrangiarsi, e cioè rassegnarsi allo stillicidio dei 45 giorni e della promessa di giustizia continuamente rinnegata. I torturatori possono torturare anche senza toccare mai la vittima, questo è l’orrore che abbiamo imparato.

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