POVERA LIBERTA’ / 3

Giuseppe Sala, sindaco di Milano

di MARIO SCHIANI – Se non avete mai visto “Comedians in cars getting coffee”, fatelo. E’ su Netflix e da solo vale il biglietto, almeno per me. Lo show consiste in tutto e… niente. Un celebre comico americano, Jerry Seinfeld, unisce le sue grandi passioni per le automobili e per l’umorismo portando a spasso dei colleghi su vetture d’epoca e intrattenendosi con loro in spiritose conversazioni. Si parla di humour, naturalmente, ma anche di società perché, dopo tutto, il primo è un prodotto della seconda. Siccome i comici sono, in generale, persone intelligenti, Seinfeld e i suoi ospiti se ve vengono fuori con osservazioni acute. Tipo questa: come mai una volta a creare guai ai comici e alla satira era la destra, o se si preferisce lo schieramento conservatore, come mai oggi questo ruolo è passato alla sinistra, ovvero ai “liberal”?

Gente come George Carlin, Richard Pryor, Lenny Bruce e molti altri passarono seri guai perché sfidavano limiti e regole di evidente stampo conservatore: parlavano di religione in modo irriverente, criticavano il sostanziale apartheid applicato in molte parti dell’Unione e, con linguaggio esplicito, rompevano parecchi tabù in ambito sessuale. Oggi, accade il contrario: è la sinistra a porre limiti, ad accerchiare i comici e tentare di imporre loro argomenti-tabù e a costringerli in recinti. Su questo è lecito scherzare e su questo no, questo è simpatico e questo è offensivo. Il tutto in nome del “politicamente corretto”: se un comico supera il “limite”, qualunque questo limite sia e chiunque di volta in volta decida di tracciarlo, è costretto a profondersi in pubbliche scuse, pena la fine della sua carriera.

Come mai la sinistra è diventata tanto bacchettona e intollerante in nome di una società “pulita e gentile”, ma in realtà piena di vincoli, costrizioni, limiti e, in generale, tortuosi labirinti di ipocrisia? Forse dobbiamo chiedercelo anche noi italiani, dopo aver letto che il Comune di Milano, per iniziativa della giunta capeggiata dal sindaco Sala, vorrebbe imporre ai dipendenti un codice di comportamento che, se applicato, vieterebbe loro qualunque critica social al Comune medesimo, anche “postata” sui profili Facebook personali e anche fuori orario di lavoro. I gruppi di centrodestra ne hanno naturalmente approfittato per sollevare la polemica, ma la questione va ben oltre la baruffa politica di convenienza.

Così come il “politicamente corretto” vorrebbe imporre in ciascuno una forma di autocensura, le organizzazioni che lo applicano, pubbliche o private, pretendono che chi ne fa parte si adegui a un modello di comunicazione sterilizzato, artefatto e, in ultima analisi, controllato da modelli dittatoriali. Probabilmente, non passa loro neanche per l’anticamera del cervello il sospetto che si tratti di una seria limitazione alla libertà di espressione, convinti come sono che esista in effetti un interesse superiore, ovvero una generale protezione da temi scomodi e una difesa dell’“immagine corporativa”, e che nascondere le critiche e le ironie faccia sparire anche le ragioni per cui tali critiche e tali ironie vengono mosse.

Naturalmente non è così, e solo grazie alla libertà di critica veniamo a saperlo. Se il “limite” viene superato – e nel mondo dei social si superano limiti del buon gusto, della diffamazione e della menzogna ogni giorno -, allora è compito di chi se ne avvede, reagire, controbattere, protestare e perfino denunciare, qualora venga commesso un reato. Ma sterilizzare, questo no, non va.

Se invece da parte del Comune di Milano si tratta di repressione pura e semplice, allora che la sinistra si guardi una buona volta allo specchio e tragga delle conclusioni.

Come il programma di Jerry Seinfeld fa notare, sono in ballo due cose importanti: l’umorismo e il diritto di critica. Piano piano ce li stanno estraendo entrambi, come un dente buono al posto di uno cariato. Pieni di anestetico come siamo, manco ce ne stiamo accorgendo.

 

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