PORCHERIA EVEREST

Ogni compleanno è importante e – di per sé – niente affatto diverso dal precedente. La differenza la fanno il tipo di festa, i mutamenti del tempo e – chissà perché – la cifra tonda: il decennale, il ventennale, il centenario…

Quindi anche per i 70 anni dell’impresa di raggiungere la vetta più alta del mondo, gli 8.849 metri dell’Everest, si è celebrata la ricorrenza con enfasi particolare. Ricordando una volta ancora come, nel frattempo, quel luogo isolato e una volta irraggiungibile sia stato trasformato dall’imperizia dell’uomo in una vera e propria discarica.

Insomma era il 29 maggio 1953 quando, alle 11.30 (le 5.45 in Italia) il neozelandese Edmund Hillary e il nepalese Tenzing Norgay piantarono le loro bandiere (Nepal, Gran Bretagna, India e Onu) sulla cima dell’Everest, per la prima volta nella storia dopo numerosi tentativi nei decenni precedenti, alcuni finiti in tragedia come quella di George Mallory nel 1924.

Ora lassù è diventata un’autostrada percorsa a piedi, attraversata ogni anno da migliaia di alpinisti profumatamente pagati per il trasporto di qualsiasi articolo o prodotto commerciale. Il campo base, a 5360 metri, è da anni una vera discarica a cielo aperto e questo lo sanno quasi tutti. La notizia è che la autorità nepalesi insistono per spostarlo più in basso, per ripulire la monnezza dei fattorini in transito e per motivi climatici, quindi di sicurezza: il riscaldamento globale sta mettendo a serio rischio anche i ghiacciai himalayani e tra questi pure il ghiacciaio Khumbu, che scende dall’Everest. A questa proposta si sono però opposti non gli immancabili verdi o ambientalisti, ma gli stessi portatori nepalesi (sherpa) e gli alpinisti. Perché? Per comodità.

Già. Uno che va a spasso sull’Everest per fare le consegne, osserva che lo spostamento più in basso (200-400) metri obbligherebbe a una marcia di 3 ore per raggiungere la seraccata del Khumbu, una cascata di ghiaccio, un punto cruciale e pericoloso della salita del Colle Sud (la via normale dell’Everest). “Per superarle, gli sherpa consigliano di partire quando è ancora notte o al massimo all’alba per evitare che i crepacci si muovano sotto le temperature che non sono più quelle del tempo di Tenzing e Hillary: 3 sherpa sono morti il 12 aprile proprio sui crepacci del Khumbu mentre stavano preparando le corde per la salita delle spedizioni commerciali”, scrive il “Corriere della sera”.

Non chiedetemi quale sarebbe l’alternativa a questo traffico, cioè se esista in zona un’autopista che potrebbe aggirare l’ostacolo. Evidentemente l’unico modo è quello. In assenza di contestatori di sorta, essendo il luogo geograficamente scomodo e la situazione conosciuta, sì, ma bellamente ignorata (perché poi, del resto, chissenefrega dell’Everest quando ci sono da difendere prima gli orsi a zonzo, poi i nidi delle lontre che impediscono la costruzione di bacini idrici in Emilia Romagna…), basterebbe lasciare i rifiuti altrove o portarseli via, perché lassù di cassonetti proprio non se ne parla. Ma se non riusciamo a educare la civiltà degli umani eruditi a valle, figuriamoci gli sherpa e quegli alpinisti mercenari più vicini al cielo che alla terra. Pace all’anima di Hillary e Norgay.

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