PONTE MORANDI, I BENETTON VOGLIONO STRAVINCERE

di GHERARDO MAGRI –  “Autostrade” non vuole passare la mano, come aveva promesso a luglio. Detto in poche parole, il nodo della questione è proprio questo. Il governo aveva dato un ultimatum alla società dei Benetton, che ora sta rispondendo in zona Cesarini: siamo d’accordo su tutto, tranne che sulla clausola dell’articolo 10, esattamente quella che prevede la discesa dell’azionariato della famiglia sotto il 50%, a favore di Cassa depositi e prestiti, cioè lo Stato.

A far saltare letteralmente i nervi – non solo al governo che ha pazientato fin troppo nell’attesa di una risposta simile, che butta in aria di nuovo le carte – è anche un’altra ciliegina avvelenata sulla torta. Autostrade rende noto con una propria perizia di pochi giorni fa, perfettamente in tempo con la scadenza dei termini, che a far crollare il ponte è stata una “bolla” nel calcestruzzo dello strallo numero 9: in pratica, denuncia un difetto di costruzione del ponte e, così, si auto-scagiona in modo esemplare. Inutile specificare come i periti di controparte sostengano che la stessa bolla sia stata generata dalla mancata manutenzione.

Egle Possenti, del “Comitato del ricordo vittime Ponte Morandi”, non ci sta, e irride la lettera di Autostrade per l’Italia.

Anche noi, comuni cittadini, siamo indignati allo stesso modo. Mettiamo da parte schieramenti politici e ideologici. Ne parlano già troppo i giornali e non se ne viene a capo, si sta perdendo di vista il vero punto. Qual è? Non c’è mai stata nessuna ammissione di responsabilità, neppure una minima parte, per le 43 vittime. Stiamo parlando di valori, non di querelle legali, siamo ben al di là dell’ordinaria amministrazione.

La società che doveva rispondere del proprio operato, principalmente la manutenzione della rete in gestione, ha sempre tenuto un atteggiamento difensivo fin dall’inizio. Ce le ricordiamo le conferenze stampa tardive dell’amministratore delegato Castellucci, le sue dimissioni (molto) a posteriori, la ristrutturazione aziendale dei vertici, nella speranza di presentare facce nuove, le parole di circostanza, le promesse estive di uscire dal controllo per arrivare a una soluzione. Fino all’ultima mossa, uscendo allo scoperto con la controproposta choc di rimanere ancora al comando, utilizzando allo scopo una perizia ad effetto.

Questo è l’atteggiamento di chi non ha mai affrontato il problema alla radice, evitando di prendersi, nemmeno per un momento, qualche responsabilità, e rinunciando a dimostrare che si può certo sbagliare ma, forse, si può anche rimediare. E’ qualcosa che abbiamo visto per decenni. Ci riporta indietro ai periodi dei “poteri forti” che influenzavano le scelte strategiche dei governi.

Quei tempi evidentemente non sono passati. Insieme al Comitato, però, c’è un’opinione pubblica che si è fatta un’idea piuttosto chiara e che non accetta più queste tattiche. La gente vuole guardarsi negli occhi e potersi fidare di nuovo, anzi di più. La tragedia del Coronavirus ci ha insegnato a rimettere a posto le priorità, ci ha imposto di mettere in fondo alla classifica le cose più futili ed effimere. Tra le parole che vorremmo tutti rivedere sul podio c’è proprio Responsabilità.

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