Il 9 agosto una donna di 72 anni è stata trovata strangolata nella sua casa di Castelnuovo di Porta, vicino Roma. Ad ucciderla il marito di 82 anni, che ha ammesso esserci stata una lite finita tragicamente.
Il 51simo femminicidio dell’anno è avvenuto invece il 6 agosto a Fonte Nuova, nel Lazio, dove un uomo di 74 anni ha sparato in auto alla moglie di 72 anni, che intendeva separarsi. La coppia aveva tre figli adulti.
Non entro nel merito delle singole vicende, ma questi drammI, anche per la loro vicinanza temporale, rivelano un dato conosciuto agli esperti, ma che probabilmente è diverso dalla rappresentazione comune del fenomeno: in Italia, ma non solo, come confermano ricerche in Canada e Israele, la categoria di donne a maggior rischio di violenza è proprio quella che supera i 65 anni. E molto spesso sono anziani anche i loro assassini.
Il fenomeno non è nuovissimo. Già nel 2021 emerse che il 35% delle vittime di femminicidio aveva più di 65 anni. E il dato rimane costante.
La visione che abbiamo dei femminicidi è dunque stereotipata ed il fenomeno è molto più complesso. In parte la responsabilità è anche degli organi di comunicazione di massa in quanto i delitti delle anziane fanno meno rumore e la cronaca li segue meno perché le vicende non si prestano alla narrazione del feuilleton tra amanti, le donne non sono giovani e carine e non hanno profili sui social. Inoltre, quando il movente è legato allo stato di malattia della donna (e si parla molto impropriamente di femminicidio pietoso) può per assurdo sembrare quasi più accettabile, visto che spesso si tratta di omicidio-suicidio da parte del coniuge, senza tener conto che sono praticamente inesistenti le donne che ammazzano i compagni anziani, in quanto malati. A dire che permane una differenza culturale e sociale secondo cui la cura tocca solo alle donne e non agli uomini.
I moventi prevalenti sono i consueti: gelosia, possesso, incapacità ad accettare la fine di una relazione, vendetta. A questi vanno aggiunti paura della solitudine e della vecchiaia, difficoltà ad affrontare la propria malattia o quella del partner, depressione. Inoltre, per le anziane è più difficile denunciare le situazioni di soprusi e prepotenze, così come modificare l’assetto abitativo.
Il fenomeno è dunque complesso e probabilmente è uno degli aspetti riguardanti il disagio in cui vivono molti anziani nel nostro paese. Siamo una popolazione che invecchia e poco si tiene conto di questo dato nelle politiche sociali.
Mi colpisce come queste vicende contraddicano clamorosamente un altro luogo comune: invecchiando si dovrebbe diventare più saggi, maturi e comprensivi. Ma evidentemente non è sempre così: anche a 80 anni è difficile controllare le emozioni e pure a quest’età la gelosia può essere insopportabile.
La vita ha cambiato valore. Siamo all’interno di un mercato della vita che subisce oscillazioni che vanno di pari passo con la nostra percezione dell’altro come simile, valevole, degno di rispetto, di aiuto, di compassione. Ci cascano anche gli anziani, hanno tenuto botta per più tempo ma ad un certo punto sono stanchi e perdono il controllo, si lasciano andare. Magari invece di guardare il cellulare usano ancora lo specchio ma l’immagine appare loro sbiadita, senza significato. Oppure si perdono nelle stanze buie che la società riserva loro, dove non sanno più quale mondo abitano, chi hanno scelto, perché. Tante, ipotesi, persino l’emulazione, il bisogno di agire per sapere che si può ancora decidere, non importa cosa. Andrò a vedere se esistono statistiche attendibili anche per gli anni scorsi. E’ molto triste vedere che al limitare della vita si possa pensare di sopprimerla, invece che avere un sanissimo timore per la fine che naturalmente si avvicina.