Andrea Pirlo è un professore che non trova una scuola, che sia una, dove insegnare l’arte del football.
Ci ha provato con la Juventus, dove comunque ha raggiunto e aggiunto un paio di coppe nostrane, è andato a Genova chiamato dalla Sampdoria e ha concluso in anticipo precoce, dopo un anno di attese. E prima, male persino in Turchia.
Doveva prevederlo. Lui stesso, negli ultimi giorni da calciatore, pronunciò la frase storica: ”Non farò mai l’allenatore”. Il progetto dura lo spazio di alcune mattine, la Juventus lo preleva per il settore giovanile, poi gli affida l’eredità di Sarri, quindi lo licenzia e lui, bresciano duro, se ne va in Turchia dove non lascia grandi memorie, anzi lo mandano al di là del Bosforo prima della conclusione del campionato. Poi Sampdoria, già detto.
E adesso? Boh, il professore, maestro, metronomo, non fa un plissé, rantola secondo abitudine, aspetta, se la gode perché, a pensarci bene, chi glielo fa fare, con tutta l’argenteria raccolta negli anni grandiosi, coppe, scudetti, titoli mondiali, perché mai guastare la reputazione a bordo campo?
Del resto, controllando gli almanacchi, ti accorgi che della truppa di quel Mondiale berlinese, a parte Gilardino, roba piccola comunque, non c’è uno che sia riuscito a confermare il proprio censo, da Cannavaro a Grosso, da Pippo nel senso di Inzaghi a Nesta, da De Rossi a Gattuso. Bei tempi.
La panchina? Meglio ai giardini, con i nipoti.