PIOLI&INZAGHI COME ANCELOTTI&CUPER: SAPESSI COM’E’ STRANO SENTIRSI RINNEGATI A MILANO

Non è questione di cultura o sottocultura: contano i risultati, quelli e basta. Punto. Nel calcio come nella vita. Per quello che raggiungi nella vita sei pesato, valutato, giudicato. Le brave persone con le pezze al sedere hanno il bollo del fallimento, non si scappa. Il dogma ha valenza universale ed è spietato. Quel che è fatto è fatto, bene bravi, adesso parliamo del presente e magari un pizzico del futuro.

Nessuna eccezione per Simone Inzaghi, detentore della Coppa Italia e della Supercoppa italiana con l’Inter, e Stefano Pioli, allenatore del Milan con il suo scudetto bello lucido sul petto. Arrivano come fachiri al loro bivio di Riyadh nella Supercoppa da esportazione, camminando sulla brace perché la critica ha già arso rossoneri e nerazzurri (secondi e terzi in campionato, ma chissenefrega), perché tossiscono, inciampano, cincischiano, insomma perdono le tracce del Napoli in fuga. Di Dorando Pietri hanno il barcollamento sfinito ma non la determinazione, né l’aiuto pietoso di qualcuno che li sorregga come il nostro atleta che così concluse la storica maratona di Londra nel 1908. Stremato dalla fatica.

Qui però la fatica c’entra poco. Siamo solo a un terzo della stagione e al di là di quel vuoto di un mese e mezzo causa Mondiali, che ha stravolto condizione, preparazione, appiattendo l’onda lunga sulla battigia, Inter e Milan sembrano incapaci di scrollarsi di dosso quegli up and down che da agosto scorso ne hanno pregiudicato la continuità. Forti sono forti, nessuno discute, entrambe qualificate agli ottavi di Champions e – appunto – davanti a tutte le altre eccetto quel Napoli supersonico. E però. Però.

Il mercato, anzitutto. Ad Appiano Gentile è rientrato dal fumo di Londra un Lukaku goffo, appesantito, mentre gli altri nuovi Bellanova, Gosens, Mkhitaryan galleggiano sospesi, Acerbi la sfanga ma nemmeno lo volevano, Onana vediamo. Non parliamo di Milanello: ombre cinesi sui campi, da Thiaw a Vranckx, da Adli a Origi, per non parlare del seminarista DeKetelaere che pare un bambino nel bosco di sera. Pobega e Dest, sì, vabbè, capirai. Questo il mood dei tifosi, fa niente se chi può ti viene a prendere, incartare e portare a casa Perisic e Kessie a suon di assegni: arrangiatevi, Inzaghi e Pioli. Il primo inchiodato a un modulo di gioco che non cambia nemmeno se perde, pareggia, piove o tira vento e maldestro in qualsiasi minimo cambio. Il secondo miracolato, senza polso, sorretto da Ibra per alzare la voce, ma insomma gli è andata bene una volta, dove vuoi che vada, tutto lì.

Una volta era la folla ammaliata a seguire l’oratore ampolloso, oggi la critica si nutre fobica di social e la cavalca per ingurgitare like, follower, banner eccetera. Vero che, mi diceva sempre Maurizio Mosca, i giornali si fanno andando al bar, dal barbiere e in taxi, parlando con camerieri e tifosi mediamente sobri, parrucchieri e tassisti, appunto. Ma lui era nazionalpopolare, il re della trash-tv, la televisione immondizia seguita da milioni di ebeti che impazzivano per pendolini e bombe di mercato. A quell’epoca era un insulto, inseguire gli ascolti (ma Maurizio amava più il gradimento dello share) invece di like, follower e banner. Oggi è la regola. Trash o non trash contano i numeri. I risultati.

Mourinho e Sarri possono vincere, perdere o – come stanno facendo – barcamenarsi nel limbo, ma essendo i messia dei popoli giallorosso e biancoceleste, godono di immunità fino a prova contraria. Pioli e Inzaghi no: nell’ultima stagione hanno vinto solo loro, oggi è già tempo di processi sommari e tempi che scadono.

Questa sfida incrociata nel derby arabo di Supercoppa italiana è un dentro o fuori in tutti i sensi. Perdendola, al Milan di trofei ne resterebbero ben pochi da inseguire (già eliminato dalla Coppa Italia), perché di scudetto o Champions non si devono nemmeno azzardare a fare un accenno. All’Inter resusciterebbero fantasmi che nessuno riesce mai a cacciare, dal mondo psicoanalitico senza eguali che è la tifoseria del biscione.

Consolatevi, Stefano e Simone, braccati apostoli del pallone: fu lo stesso esattamente 20 anni fa, quando Inter e Milan si giocavano addirittura la Champions in un doppio derby di semifinale storico. I giorni della vigilia e quelli che separarono l’andata dal ritorno furono caratterizzati da stampa e sostenitori che beffardi si limavano le unghie, in attesa di graffiare a sangue gli allenatori Ancelotti e Cuper. Tutto torna.

In bocca al lupo per la Supercoppa, cari mister milanesi: comunque vada, grazie di tutto e al prossimo tonfo.

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