PIETRA TOMBALE SULL’UNTO DEL SIGNORE

di ARIO GERVASUTTI – Aleggiano due fantasmi tra i labirinti di Villa Pamphilj, teatro degli show politici romani quando i governi vogliono fare bella figura con gli ospiti. Uno è un fantasma inquieto, è quello del colonnello Gheddafi, che da queste parti aveva piantato la sua tenda quando ancora si credeva il re del mondo: sembrano secoli fa. L’altro è un fantasma più tranquillo, probabilmente perché il suo “proprietario” è ancora vivo e vegeto e lotta insieme a noi: è Lui, il Silvio nazionale con annesso doppiopetto anni ’80. Si guarda intorno e si accorge che nessuno lo vede. Butta lì una battuta elegante e nessuno lo ascolta. Ma che succede, Silvio?

Succede che il viale del tramonto è lungo e malinconico, quando ti convinci di essere immortale. Ridendo e scherzando sono trascorsi quasi 30 anni dalla “discesa in campo”, che poi in campo Lui c’era già da almeno altri 30.

Professione: sognatore. Sognava di costruire città, e le ha costruite. Di creare un impero mediatico, e lo ha creato. Di vincere tutto con una squadra di calcio, e ha vinto. Di fondare un partito e diventare capo di un governo, e ce l’ha fatta anche lì.

Ammettiamolo: è umano che uno così poi si creda immortale. Ma il punto è proprio questo: la debolezza è cosa per umani mentre Silvio inconsciamente appariva sovrumano. Invece è uomo pure lui, in carne e ossa. Soprattutto carne, debole carne. E per qualche etto di coscia si è giocato tutto. La poltrona, e quello è il meno; la credibilità, l’aura di invincibilità. Non aveva fatto nulla di malvagio, diciamolo ora che non sembra più un giudizio condizionati dall’ostilità o dall’affetto politico: semplicemente, se governi un Paese non puoi permetterti uno stile di vita che è normale per un produttore cinematografico o un miliardario produttore di lampadine in cerca di distrazioni. Andare in discoteca non è un reato, ma se di mestiere fai il Papa delle due l’una: o rinunci al ballo o cambi mestiere.

Lui no, era sovrumano. Ed è finito così, a scrivere proclami da Nizza per un esercito ridotto a un manipolo di fedelissimi che sono tali solo fintanto che c’è un po’ di polpa attorno all’osso. Lui, che si circondava di Gullit e Van Basten, ora trova ascolto solo tra i dilettanti del Portobuffolè. Dal 4 a 0 al Barcellona, alla festa senza tifosi per la promozione del Monza in serie B. Una vittoria è sempre una vittoria, certo: ma quanta malinconia.

Alzava il telefono e chiamava Obama, faceva cucù alla Merkel, le corna a tutti gli altri, e adesso manco agli Stati generali di Conte può andare. Fosse stato per Lui, si sarebbe concesso un ingresso trionfale come ai bei tempi, sorrisi e battute a tutti, perfino a Casalino che in fondo tra uomini di spettacolo ci si intende. E poi, una volta dentro, ci avrebbe pensato lui a portare a casa il risultato. E non è da escludere che magari sarebbe stato meglio per tutti, visto il livello del gioco attuale.

Invece niente, resta a Nizza in panchina. Adesso l’allenatore è Antonio Tajani, brava e onesta persona ma finché c’è il Sole tutto il resto è ombra. Epperò se l’allenatore dice che devi stare in panchina, anche se ti chiami Maradona resti in panchina. Che poi diciamolo: in realtà chi fa la formazione ormai sono quei due galletti di Salvini e Meloni, due che quando Silvio parlava con i Grandi erano a pelare le patate nelle retrovie di Bossi e Fini e adesso eccoli lì a dettare legge. Ma che cos’avranno mai fatto, per ritrovarsi lì? Semplice: hanno cambiato. Vestito, pelle, linea, linguaggio. Silvio no, è rimasto in doppiopetto, al limite ha smussato un po’ le spalline esagerate anni ’80 e inserito qualche accessorio posticcio qua e là. Soprattutto là.

In tutto questo circo manca una parola, che però racchiude tutto: politica. Il mondo è cambiato in 30 anni, e se vuoi fare politica non basta essere un sognatore: devi essere capace di far sognare. Devi offrire un orizzonte, una prospettiva, un disegno per il futuro. Ma superati gli 80 anni, anche se sei immortale, la gente non ti scambia per un sogno ma per un fantasma. E se gli proponi di sognare in grande riportando in campo Gullit e Van Basten, ti rispondono che al massimo possono andar bene per il Monza. Così ti ritrovi lì, in una faraonica villa sul golfo di Nizza, ad aspettare inutilmente una telefonata importante. O almeno un cucù.

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