PIETA’ PERSINO PER LOLLO

di MARCO CIMMINO – E’ morto Achille Lollo: nell’aprile del 1973 aveva ucciso, dando fuoco al loro appartamento, due ragazzi, Stefano e Virgilio Mattei. Lo spaventoso delitto era passato alla storia come il Rogo di Primavalle. Non se n’era mai pentito e, anzi, era stato difeso a spada tratta da quello che una volta si chiamava “Soccorso Rosso”, venendo descritto come un innocente, perseguitato dall’occhiuta reazione antidemocratica. Invece era colpevole, lui come i suoi compagni, Grillo e Clavo.

Ora, Lollo si trova ad affrontare un giudizio assai più imparziale e definitivo di quello dei tribunali: sia pace all’anima sua, lo dico sinceramente. Parce sepulto, dicevano i nostri antenati: perdona al morto e dimentica il male che ha fatto.

Tuttavia, io credo che qualche riflessione vada compiuta su quegli eventi e sui loro protagonisti, e questo mi sembra un buon momento. Sui social ho letto moltissimi interventi in cui si gioisce per la morte di questo assassino, augurandogli di bruciare in eterno, come fece bruciare le sue vittime: si tratta, per così dire, di un’idea di contrappasso casereccio che non mi piace e che non condivido. Credo, però, che sia giunto il tempo in cui si debbano rivedere i parametri storici con cui si valutano gli anni di piombo e, con essi, il nostro giudizio su tanti atteggiamenti, platealmente viziati da un errore di prospettiva. Basterebbe leggere una cronaca di quel periodo, scritta negli anni immediatamente successivi alla stagione più crudele del terrorismo, per cogliere un imbarazzante strabismo nel descrivere e giudicare i fatti e le persone. Le parole indirizzate da Franca Rame e Dario Fo ad alcuni tra gli omicidi conclamati di quegli anni basterebbero a far inorridire chiunque non perda di vista l’umanità e la giustizia: volgari assassini trattati come martiri della causa e, per le loro vittime, neppure una parola di pietà. Solo mistificazione e bugie: la solita faida tra fascisti, il solito complotto per incastrare un proletario rivoluzionario e così via.

Bene, io dico che un Paese in cui si racconta una storia rovesciata e in cui si dipingono i carnefici come se fossero le vittime non è un Paese normale: e che non è normale ricordare chi li difese e li protesse come un campione di libertà e democrazia. Achille Lollo era un comunista, faceva parte di Potere Operaio: non si è mai pentito. Scegliendo, come i suoi due compari, la latitanza. Le panzane dette e scritte su di lui, e su molti altri come lui, da intellettuali e artisti di sinistra hanno fatto sì che, all’estero, ci guardassero come una dittatura sudamericana, in cui i militanti comunisti venissero torturati e perseguitati: anche per questo è stato assegnato il Nobel a Dario Fo, come è accaduto per altri autori mediocri, ma ritenuti dall’Accademia svedese esempi di resistenza alla tirannide.

Ecco, oggi che uno di questi criminali beatificati dall’intelligentsija italiana esce di scena, potremmo veramente cogliere l’occasione per proclamare ai quattro venti che la grande menzogna è finita: che non c’erano i buoni, che hanno sempre ragione e le cui mani sono sempre pulite. E nemmeno c’erano cattivi sempre dalla parte del torto, anche quando li ammazzavano a coltellate, gli sparavano o li bruciavano vivi. C’erano, da entrambe le parti, ragazzi imbevuti dello stesso odio che aveva fatto compiere ai loro padri enormi porcherie. E c’erano famiglie in lutto, innocenti sacrificati, una Nazione che viveva nell’angoscia. E, poi, c’erano questi cantori stonati, organici all’idea. E di quelli, purtroppo, per uno che ne muore, ne nascono altri due. Riposa in pace, Lollo, se puoi.

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