PERDERSI TRA I MITI DEL MITOMANE DOTTO

Il tennis dopo Federer sarà tennis: a volte basta una frase, con la leggerezza di parole semplici ed essenziali, con la profondità di un aforisma, per rendere l’idea di chi la scrive. In questo caso, un fuoriclasse della scrittura, Giancarlo Dotto.

Parlo di un amico e dunque posso risultare molto poco attendibile, ma siccome sono di quelli che sanno tenere fuori l’amicizia da un’opinione, non ho problemi a ribadirlo: parlo di un fuoriclasse della scrittura. E vorrei vedere quanti in Italia se la sentirebbero di dire il contrario.

Dotto caso mai non è per tutti, non scrive per la massa di ignoranti che ormai considerano la lettura una fatica insostenibile, una squallida perdita di tempo, un brutto luogo malfamato dal quale girare molto alla larga, per rifugiarsi negli spazi accoglienti e faciloni del vedere e dell’ascoltare, un video piuttosto che una foto demente, un messaggino piuttosto che un faccino con la lingua di traverso.

Dotto scrive – direbbero quelli – in modo strano. Meglio: direbbero ricercato. Ogni tanto è Oscar Wilde, ogni tanto è il D’Annunzio del “Piacere”, ogni tanto però ricompare come un Flaiano, volendo proprio trovare qualche riferimento: ma più realisticamente Dotto è originale, lontanissimo galassie immense da luoghi comuni e frasi fatte, da banalità e conformismi, con quel suo gusto insanabile per dirlo divertito, così da lasciare il lettore sempre afflitto da una domanda, ma come ha fatto a dire una cosa così normale in un modo così bello?

E’ esattamente quello che ho ritrovato e riprovato leggendo “Il Dio che non c’è”, il libro che mi ha donato senza chiedermi nulla in cambio, penso e credo per pura e semplice amicizia, come mi offriva una Corona con limone a Città del Messico, tanti anni fa, quando per un mese aspettammo che Francesco Moser si decidesse a trovare il vento giusto per tentare il record dell’ora.

Grazie Giancarlo, gli mando a dire adesso, chiudendo il suo libro. Non starò a raccontarlo, a sminuzzarlo, a trovare significati che magari lui nemmeno immaginava al momento di scrivere. Non mi improvviserò critico, perchè amo la lettura in modo viscerale, la amo e la rispetto a tal punto che considero ogni critica una violenza disumana, perchè la letteratura è essenza pura di libertà, una zona franca dove ciascuno trova ciò che cerca, persino la bellezza liberatoria di buttare un libro dalla finestra, senza bisogno di avere tra i piedi esegeti professionali e badanti intellettuali.

Così pensando, dico solo che Dotto ha raccontato certo dei miti, ma prima ancora il bisogno suo e nostro di trovarne, soprattutto in questa epoca neomedievale in cui mitizziamo qualunque cosa senza mai mitizzare nessuno.

Operazione riuscita. Operazione che mi fa dire, ancora una volta, ma dove trova il genio per esprimere queste idee, in questo modo. Ma naturalmente è una domanda che soffoco in culla, perchè conosco  da tempo la risposta: il genio va ammirato, gustato, stimato. Senza fare un passo oltre. Perchè appena si cerca di spiegarlo in termini razionali, si finisce per assassinarlo a miserabili colpi di inutili parole.

No, non proverò a spiegare Dotto per filo e per segno. Tanto meno il suo libro. Consiglio solo di leggerlo. Un buon modo di investire il proprio tempo. Tra parentesi, è l’unico cognome che io conosca per il quale usare la minuscola non va considerato errore ortografico.

IL LIBRO:

Giancarlo Dotto, “Il Dio che non c’è”, edizioni GOG, 16 euro.

 

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