Caro Gherardo, avessi scritto subito “sportingly correct” invece di chiuderci il tuo articolo, confesso candidamente che non lo avrei nemmeno letto: tema e soprattutto espressione che non solo non mi fanno saltare sulla sedia, ma mi inducono proprio a cambiare canale.
Invece il trappolone era – appunto – in fondo al viale e quindi l’ho percorso tutto. In sincera, nuda onestà, anche quella faccenda di saltare (o no) sulla sedia è assai poco intrigante. Mi limito a dire che esaltare una nostra eccellenza va oltre i gusti personali: lirica, poesia (lasciamo stare i navigatori e i santi), letteratura, arte, pittura, cucina, vino, moda, architettura fanno da sempre una selezione naturale di italiani avulsi che non saltano sulla sedia. Restano – nonostante loro – un orgoglio nazionale di cui andare fieri, a prescindere, e come tali andrebbero sempre valorizzati, difesi, apprezzati. Conosciuti meglio. Sono la nostra storia e la nostra cultura, sono la faccia splendente di una sempre più opaca, arrugginita medaglia.
Ora, su quel viale del tuo articolo passeggio tra rametti di retorica che mi scricchiolano sotto ai piedi, andando in frantumi. Mi dici che c’è “un popolo intero” che amava gli esuberanti: forse non hai idea a quale esercito di appassionati (e non) stiano sulle scatole i guasconi, Tomba e Valentino Rossi su tutti. È una questione di gusti: chi il glaciale (che poi così freddo non era) Borg, chi l’ingestibile McEnroe. Chi Zoff, chi Zenga. Chi Benvenuti, chi Monzon. Chi Coppi, chi Bartali. Chi Rivera, chi Mazzola. Sono fortunato perché a me questi hanno o avrebbero fatto saltare tutti, sulla sedia. Per la loro grandezza, punto.
Parli di DNA italiano di genio e sregolatezza. Salto sulla sedia: è la storia dei geni (non tutti) di qualsiasi epoca, a qualsiasi latitudine, essere anche un po’ folli. Non ne ho mai trovata traccia però, per esempio, in Giuseppe Verdi… Perché DNA italiano? Noi piuttosto abbiamo avuto molti geni e molti sregolati, ma erano persone diverse.
Il passaggio più sorprendente che – permettimi – arriva al tavolino del bar sul vassoio con la birra o il caffè, è la tua citazione del Washington Post: “Tanti lo hanno già notato (…): i suoi colpi sono così regolari da indurre al sonno” e “può picchiare da fondo campo per 4 ore sempre allo stesso modo”. Io non sono esperto e non faccio il tecnico di tennis, lo sport che amo di più dopo il calcio: scrivo, chiamo, chiedo a Paolo Bertolucci, per curiosità. Da spettatore però ti dico che è una balla sesquipedale, è proprio il frutto del livore americano battuto in casa e per questo avvelenato. È come dire che Mbappè segna tutti i gol alla stessa maniera, Bagnaia corre sempre allo stesso modo, Verdi scriveva sempre le stesse cose. Ti sei accorto di quanto (solo negli ultimi 2 anni) si siano arricchiti bagaglio e repertorio di Jannik? Vi siete accorti, tu e quel cronista di Washington, di quante volte abbia cambiato tattica Sinner agli US OPEN tra Medvedev, Draper e Fritz? E qualche volta anche nella stessa partita? Ti rispondo io: no, non ve ne siete accorti. Per concedermi anche io un po’ di retorica: fidatevi, tu e il tuo amico Fritz, che non esiste in nessun campo e in nessuno sport un pallettaro che diventa numero 1 al mondo.
Concludo con questa solfa sulle sue scelte, di cui ho già parlato tante volte e scritto anche qui. Tra le molte cose che Jannik ha molto, molto diverse dagli altri, è la struttura fisica. Ha bisogno di programmare al dettaglio preparazione e partecipazioni, come dimostrano i problemi che ha avuto giocando e infortunandosi a cavallo (guarda un po’) delle ultime Olimpiadi. Ma poi una domanda: fosse il cinico calcolatore che vi ossessiona, perché compagni e CT lo adorano?
Consolati, Gherardo: pesando 100 chili, quando gioca Sinner neanche io (come te) posso vestirmi da carota né tantomeno saltare sul divano, ma godo fino all’inverosimile. Lasciandovi tutti i sofismi che a voi impediscono di farlo.