PERCHE’ NON GUARDARE IL FESTIVAL E’ UN CRIMINE

Lo dirò subito e senza equivoci: secondo me Sanremo bisogna vederlo. E chi sostiene che non lo guarderà, mente.

Dichiarazioni forti, lo so. Di seguito le mie motivazioni.

Poichè il festival esiste da prima che io nascessi (debuttò nel 1951) posso dire di ricordarmelo da sempre.

Le letture di questo evento mediatico, col passare degli anni, sono cambiate.

Cambiate coi tempi e da tutti i punti di vista.

Da quello musicale: le prime edizioni erano ascoltabili solo alla radio, tutti insieme, a casa di chi era abbastanza ricco da possedere quel primo enorme elettrodomestico. Poi venne la televisione, anche qui, patrimonio privato di pochissimi, per cui la visione festivaliera si consumava al bar del paese.

La faccio breve e arrivo ai miei tempi da ragazzina con la serata di Sanremo vista sul divano e in religioso silenzio, perché l’unico modo per poter risentire in proprio le canzoni era registrarle dall’audio tv su musicassetta. Lascio immaginare la purezza del suono, con la voce della mamma che, dalla cucina, chiede chi vuole il dolce o con la gatta che, per niente musicofila, è più interessata ai suoi croccantini (richiesti con insistente miagolio) rispetto alla “Terra promessa” del ragazzino Ramazzotti, ancora ante Hunziker.

Rapido balzo in avanti. Arrivano i mezzi per registrare che si collegano direttamente alla tv attraverso un cavo, ed ecco che mamma e gatta sono prontamente escluse dalla registrazione del brano che diventa, così, anche ascoltabile.

Ultimo salto ed eccoci ai giorni nostri con Spotify: a posto, la musica non è più un problema.

E qui arriva la seconda lettura del grande carrozzone ligure. Dato che le canzoni, che in teoria, molto in teoria, sarebbero il cuore della manifestazione, sono reperibili e ascoltabili subito (un secondo dopo l’esibizione dal palco dell’Ariston), la narrazione ha cominciato ad arricchirsi di orpelli supplementari. Ed ecco il Primafestival, il Dopofestival e pure il Durantefestival che non si chiama così ma in sostanza c’è, date le innumerevoli esibizioni collaterali, gli ospiti italiani e stranieri, gli attori e chiunque abbia qualcosa da dire o da chiedere alla Nazione.

Ma la musica? Sempre più sullo sfondo, spesso in attesa, ben oltre la mezzanotte.

Terza chiave di lettura: quella dalla sala stampa, per me la più divertente (sarà che faccio la giornalista). Dai tavoli di quella che sembra una classe del liceo, illustri colleghi si impegnano per una settimana intera a caccia di qualcosa da scrivere che altri non abbiano già pubblicato. Bello sport, difficile ma affascinante. E l’aneddotica di questo particolare luogo attiguo al teatro vero e proprio è talmente ricca e varia da produrre, conclusa la kermesse, altrettante trasmissioni al sapore di Amarcord.

Da ultimo vorrei ricordare anche il taglio prettamente didattico che Sanremo porta con sé. Daniela Cardini, professoressa associata di Linguaggio della televisione all’Università IULM di Milano, intervistata a “Radio Capital”, ricordava come nel febbraio 2020 l’ateneo organizzò una serata Sanremo IULM durante la quale circa 200 studenti guardarono, tutti insieme, il Festival da un’aula della scuola, esaminandolo, commentandolo e, a detta della professoressa, anche molto divertendosi.

Come si fa quindi a non guardare Sanremo? Si deve, per forza. Perché non farlo darebbe la medesima sensazione di non avere partecipato all’ultima gita scolastica prima della maturità.
 

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