PERCHE’ E’ DIFFICILE PIANGERE IL RAGAZZO MORTO A 300 ORARI SUL GRA

Il mondo è brutto, amici miei: pieno di storie tristi, commoventi, drammatiche. Leggere la cronaca, spesso, è come immergersi in un abisso di disagio, crudeltà, dolore.

Ci sono ventenni che muoiono in un letto d’ospedale, così: perché il destino ha fatto loro pescare una carta ed è uscita la donna di picche. E si consumano, tra speranze sempre più flebili e il sentimento di una sfortuna immeritata: perché proprio a me, sembrano dire, quando guardano i loro coetanei che possono sperare in un futuro, purchessia.

Ragazzi perbene, che incappano in una pallottola destinata ad altri o che incrociano un matto preda di un accesso di rabbia bestiale e che rimangono sull’asfalto, in una pozza appiccicosa di sangue scuro. Certe volte ti domandi, con Vecchioni: ma che razza di Dio c’è nel cielo?

E ci sono giovani donne abusate, madri coraggio che tirano avanti a morsi e a capate, gente che, ancora giovanissima, ha dovuto conoscere quanto possa essere carogna un datore di lavoro, quanto possa imbestialirsi, fino alla più abietta crudeltà, la persona che diceva di amarti.

E’ un brutto mondo, dicevo: potrebbe essere l’eden e, invece, spesso è una bolgia dell’inferno. Specie per i giovani: specie contro i giovani. Giovani delusi dalle ingiustizie, fiaccati dall’incomprensione, usati come una clava da ciclopi senza scrupoli. Ragazzi che a vent’anni muoiono con tra le mani un fucile; e poco importa se sia un AK47 o un AR70: se sia una guerra buona o cattiva. La stria non guarda in faccia a nessuno e non nota di che colore sono le tue mostrine: lei falcia, come viene viene.

Giovani che perdiamo per strada, che vediamo andare, incapaci e impotenti: non li sappiamo né possiamo trattenere. Ma soffriamo per loro: magari di lontano, magari goffamente, quando sappiamo di una storia così, sentiamo come una puntura nell’anima e, se ci crediamo, mormoriamo una preghiera.

Poi, ci sono ventenni che, per dimostrare chissà cosa, o perché annoiati dall’avere troppo, o perché pieni rasi di alcool o di droghe, decidono di giocarci, con la stria: col loro destino individuale e con quello di altri, inconsapevoli, coprotagonisti di questa oscena messinscena. Questi giovani non conoscono il dolore altrui: forse, pensano che il dolore neppure esista, cloroformizzato dalle banconote da duecento euro. E, così, vogliono sedere alla scacchiera, di fronte a monna Morte: poveri giocatori di periferia, poveri ragazzi, così arroganti e così stupidi. Perdono: inevitabilmente perdono. Tutti, intendiamoci, perdiamo contro la grande avversaria: ma c’è modo. Morire zigzagando sul Gande raccordo anulare di Roma a trecento all’ora è un modo davvero cretino di farla finita. Successo, poche notti fa. E’ una sfida vile: non c’è niente di eroico o di virile nell’infrangere regole in questo modo, mettendo a rischio tanti altri innocenti. C’è già abbastanza dolore per aggiungerne a così poco prezzo.

Così, non mi sento di piangere questo ventenne morto nello schianto della sua macchinona contro un guard-rail. Provo sollievo, per il fatto che il suo suicidio non sia costato altre vite. Può vagamente dispiacermi per una vita spezzata. Ma empatia zero, compassione zero: mi dispiace, ma il mio senso di giustizia funziona come una specie di servofreno. Troppa gente muore a vent’anni, disperatamente legata alla vita, perché provi pena per uno che a vent’anni la sua vita l’ha buttata nel cesso. Riposi in pace e nulla più.

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