PERCHE’ DIFENDO I TRIBUNALI DELLE CURVE ULTRA’

Nelle ultime stagioni è capitato persino ai futuri campioni d’Italia, e casualmente sempre a La Spezia: una volta il Milan, poco più di un anno fa l’Inter. Finita la partita, tutti i giocatori a raccolta sotto le Curve a prendersi una ramanzina per l’andazzo.

Ai genoani una dozzina di anni fa fu chiesto addirittura di levarsi le maglie non essendone all’altezza, come è capitato in questi giorni alla Pro Vercelli (!) nel racconto di Andrea Bosco proprio su @ltroPensiero.net.

Di recente il Napoli a Empoli, la Lazio a Monza, il Palermo a Genova e il Crotone (!) in casa, hanno dovuto rispondere alla convocazione dei tifosi per rendere loro conto di prestazioni negative, deludenti. Indegne, come è stato rinfacciato.

Spesso si dice che lo sport, il calcio, siano uno spettacolo e di conseguenza gli spettatori abbiano il diritto di applaudire, fischiare, protestare. Come al cinema, o a teatro, o a un concerto. Credo però che un distinguo debba essere fatto. Sono politicamente molto, molto scorretto e mi permetto di fare un’eccezione quando si parla delle Curve: non sono né loggionisti né plateisti con i popcorn, viaggiano ogni settimana appresso alla squadra, molti di loro vivono per quei colori, per i loro idoli, per la loro bandiera che hanno tutti tatuata sulle braccia e altrove. Passione? Estremismo? Cultura ultras? Esiste in tutto il mondo ad ogni livello e riguarda tanti altri campi della vita.

Non mi interessano le commistioni con le società (biglietti, favori, tolleranza e un occhio chiuso): fin tanto che non ci sono denunce o prove di illegalità, il rapporto resta sempre e comunque tra società e Curva, ognuno lo gestisce come meglio crede e se si sconfina fuori dalla legge, interverranno nel caso gli organi preposti. Non mi interessa nemmeno il pedigree di chi ci va, in Curva: faccio il giornalista e non il poliziotto o il doganiere.

Mi fermo al fatto in oggetto: la squadra va male, la Curva si incazza, la chiama sotto per fare una vigorosa ramanzina. Come ci vanno a saltellare, baciare la maglia e lo stemma, giurare fedeltà per poi fare le valigie, i calciatori, così credo non ci sia niente di illogico nell’andare a dar di conto in campo a fine partita. Insulti, hashtag, improperi e volgarità sui social (senza filtri) sono quasi sempre più aspri (e violenti) di quell’accesissimo colloquio subito dopo l’ennesima brutta figura.

Molte inchieste hanno smascherato alcuni aspetti della vita di Curva, in passato. Racconti di delinquenza, droga, persino prostituzione. Meno clamore suscita invece il fatto che molte Curve di ultima generazione vadano a spalare il fango dopo le alluvioni, raccolgano fondi, vadano negli ospedali a trovare i malati, si impegnino sul territorio e nel sociale (quelle del Milan e dell’Inter, per dire, lo fanno insieme).

Se qualcuno volesse fare un censimento tra eventuali balordi che frequentano le Curve e quelli eventuali che invece bazzicano sedi dei partiti, Montecitorio o svariate altre istituzioni, non esclusi i tribunali – non parlo degli accusati – prego si accomodi.

Mi limito a osservare che ad ogni latitudine il rapporto tra i milionari che tirano calci al pallone e gli operai o gli studenti o gli imprenditori (perché se non lo sapete, di norma i luoghi dello stadio da dove partono gli insulti più cruenti e le contestazioni più agitate sono le tribune d’onore) che li idolatrano, segue questo legame acclarato. Torbido finché vi pare, ma solo quando si perde. Quando si vince è la stessa stampa che li schifa ad esaltare canti, coreografie, affetto, sacrifici… Quindi non fate Biancaneve e non state lì a inorridire davanti a queste scene di contestazione.

Una cosa però alle Curve mi sento di dirla: distinguete bene tra chi non si impegna e chi invece proprio non ce la fa. Potete urlare quanto volete e chiedergli maglia, tuta, calzoncini e mutande a fine gara, ma un brocco resterà un brocco anche se lo strapazzate.

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