PERCHE’ CERTE VOLTE SOFFRIRE CI SEMBRA CONVENIENTE

In diversi modelli di psicoterapia è essenziale comprendere la funzione del malessere o del sintomo.

Esso può rappresentare, in modo del tutto inconsapevole, una reazione parzialmente efficace sia pure inadeguata ad un bisogno emotivo profondo. Ai miei pazienti, propongo l’esempio banale del fumatore. Dico loro che la differenza tra chi fuma e chi non fuma non consiste certo nel conoscere o meno i danni del tabagismo, che sono noti in ugual misura a fumatori e non fumatori. La differenza consiste nel fatto che il fumatore, pur sapendo di procurarsi un danno, sceglie di continuare a fumare, privilegiando il vantaggio secondario che ne ricava. Tale vantaggio può consistere in una lieve riduzione dell’ansia, in una maggiore sicurezza in alcune situazioni sociali, in una migliore aderenza ad una propria immagine idealizzata, o semplicemente in un puro piacere.

Allo stesso modo uno stato di malessere, per quanto doloroso e fonte di sofferenza, viene inconsapevolmente mantenuto o favorito da un bisogno emotivo di cui la persona non è propriamente cosciente.

Ad esempio, in modo molto riduttivo ma per intendersi, un malessere psichico può essere funzionale a dimostrare quanto ci faccia soffrire il partner o, nel caso di un adolescente, l’insuccesso può tacitamente servire a dimostrare l’inadeguatezza o a punire i genitori. (ovviamente, sto semplificando assai, come faccio spesso, ed è ovvio che la faccenda è più complessa).

In ogni caso, in psicoterapia, oltre che ricercare le cause dei sintomi, che possono spingersi fino alle generazioni precedenti, può essere utile andare a ricercare gli effetti attuali, sulla persona e sulle sue relazioni, di quel comportamento, che pure fa soffrire.

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