PER TROVARE SINDACI BISOGNA PAGARLI MEGLIO

di GIORGIO GANDOLA – Sono tutti d’accordo, e già questo è un buon motivo per valorizzare la notizia. Non servono convergenze parallele, in Parlamento bastano quelle normali per un disegno di legge che finalmente vede i partiti alleati su un tema non secondario: lo stipendio dei sindaci. I partiti sono a un bivio: o affrontano il problema oppure non troveranno più uno straccio di imprenditore, professionista, esponente della società civile disposto a mettere la faccia e la relativa fascia tricolore.

“Ma lo sapete che lo stipendio del sindaco di un piccolo comune è talvolta inferiore al reddito di cittadinanza?”, ha alzato il volume della radio Antonio Decaro (primo cittadino di Bari, Pd), che da presidente dell’Anci li rappresenta tutti. Negli ultimi mesi il nodo è arrivato al pettine: per trovare candidati disposti ad abbandonare uffici e studi privati, le segreterie sono letteralmente impazzite, nomi di prima fila non ce ne sono, anche semplici assessori o consiglieri regionali si guardano bene dal mettere la testa dentro il nodo scorsoio. Addirittura il centrodestra a Milano (a Milano, la metropoli che si amministra da sola) non è ancora riuscito a completare il triste casting alla ricerca di una figura di rappresentanza.

Il motivo è elementare, lo si vede a occhio nudo nella partita doppia costi-benefici. Da una parte la ricerca spasmodica dello scandalo, l’avviso di garanzia potenziale per ogni firma, la figura preventiva da incapace (oggi i social demoliscono in un pomeriggio onorate carriere), le responsabilità legali su tutto, la polemica omerica per ogni parola sbagliata, il reddito personale come minimo dimezzato per cinque anni. Dall’altra un palchetto con le coccarde, gli applausi distratti al discorso del 25 Aprile e uno stipendio da fame. Morale: “State lì voi gratis sulla graticola”.

Così ecco una proposta del Pd finalmente intelligente (dopo Ius soli, voto ai 16enni e patrimoniale in piena pandemia ci vuole poco): equiparare lo stipendio a quello dei consiglieri regionali, passare dai 7400 euro lordi ai 13.500 per le città con più di 500.000 abitanti, arrivare a 9500 per quelle con più di 250.000 e alzare i compensi anche (e soprattutto) a chi ha la responsabilità di guidare piccoli e medi comuni italiani. Dove i problemi da risolvere sono gli stessi, con l’aggravante che i cittadini insoddisfatti sanno dove abiti.

Sull’idea c’è convergenza. La Lega è pronta a mandare avanti la proposta e anche Ignazio La Russa (Fratelli d’Italia, vicepresidente del Senato) è convinto: “Presenterò un emendamento per sostenere l’incremento, basterebbe equipararli ai parlamentari. È giusto facilitare l’accesso in politica di persone di qualità, che magari ne rimangono lontane solo per motivi economici. È impensabile che un professionista, un imprenditore, un dirigente lasci tutto se non è malato di politica come me. Per migliorare la risposta che devono dare i sindaci alle città credo che sia opportuno adeguare il loro emolumento”. Ne ha parlato con il numero uno di Milano, Giuseppe Sala, opposto schieramento, che gli ha risposto: “Se presenti un provvedimento del genere lo appoggio”.

Il populista di professione a questo punto ha buon gioco nell’obiettare: che sforzo, quando si tratta di soldi sono tutti d’accordo. Vero, ma questa volta è giusto così. Perché nell’ultimo decennio è accaduto il contrario; sempre meno amministratori con la testa sulle spalle e i congiuntivi al loro posto, sempre più scappati di casa intenti a maneggiare Facebook. Nessun dubbio: tutta la vita Fiorello La Guardia a prezzo pieno piuttosto che Danilo Toninelli in saldo. Meglio correre il rischio che continuare a inseguire le occasioni perdute.

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