A ogni giorno la sua razione di stupidità. Non ci preoccuperemmo più di tanto se si trattasse di dosi omeopatiche. Purtroppo, oggi, si procede con trattamenti da cavallo.
Mentre Donald Trump ci delizia parlando di Gazaland e cambiando a casaccio la nomenclatura geografica del Nord e del Centro America, un altro autorevole rappresentante del “nuovo mondo” – il presidente dell’Argentina Javier Milei – si fa notare per fantasia e intraprendenza in campo lessicale. Milei, infatti, ha deciso di riportare all’uso comune, addirittura istituzionale, parole come “idiota” e “imbecille” e non perché, come verrebbe spontaneo pensare, abbia finalmente deciso di mettere mano alla sua autobiografia. I termini di cui sopra sono stati inseriti in un documento ufficiale del governo allo scopo di identificare persone che soffrono di problemi mentali e cognitivi.
Alle accuse di “barbarie” e “inaudita violenza lessicale”, Milei e i suoi difensori hanno replicato sostenendo che si tratta di parole usate “da sempre” nella nomenclatura medica. Il che è vero, a patto di riavvolgere la storia della psichiatria fino ai tempi di Lombroso e a quelli, che sicuramente Milei e gli amici suoi rimpiangono, della contenzione, delle docce ghiacciate, dell’elettroshock e della lobotomia, senza contare la vecchia, cara eugenetica, così amata dai nazisti (e non solo).
Più che una distaccata aderenza alla terminologia medica, dietro la mossa del governo Milei sembra di cogliere un deliberato affondo contro la “cultura” del politicamente corretto. Il che, in sé, potrebbe essere tollerato, se non fosse che qui di mezzo ci sono vite umane che da tali definizioni non vengono semplicemente “offese”, ma discriminate, pre-giudicate e in ultima analisi buttate nella discarica della società.
D’altra parte, la tendenza a tirare dritto nel linguaggio, a rifiutare distinguo e sottigliezze in nome di una “virile” franchezza che vorrebbe respingere presunte mollezze e nonsense, è tipica della mentalità autoritaria, della sua tendenza a semplificare, incasellare, etichettare, così da esercitare un controllo più fermo sulla società. Milei, che si proclama libertario, rivela qui la sua vera natura di aspirante despota.
Al contrario di Milei e soci, chi è intimamente portato ad aver rispetto dell’altrui individualità tenderà a smussare, a cercare definizioni più precise e comunque rispettose, magari al costo, purtroppo, di impantanarsi nella melassa del politicamente corretto, dove l’allocuzione, la desinenza e perfino il pronome finiscono per imporsi sulla natura stessa del problema, offrendosi come false soluzioni e, all’estremo, fanatici e irragionevoli soprusi.
Il paradosso è quasi traumatizzante: la deriva mondiale verso la stupidità è oggi così rapida che sarebbe davvero utile tornare a parlarsi con chiarezza e ruvida sincerità. E invece abbiamo un largo uso di parole violente, discriminatorie e volgari impiegate contro i più deboli, oppure lanciate per ferire e distruggere nascondendosi dietro l’anonimato garantito dalla Rete. Purtroppo, per parlare franco ci vuole onestà e coraggio: solo con tali doti si riesce nell’impresa di dire per davvero pane al pane e vino al vino. E, nel caso di Milei, fesso al fesso.