PER DIFENDERE GLI ARBITRI SERVE LA LEGGE DEL TAGLIONE

Var e bar non bastano più, non bastano mai: discussioni bollenti davanti al caffè o a un microfono in uno studio tv, un una mix-zone, sono quisquiglie. Servono pugni e cazzotti per fargliela capire, agli arbitri. Non importano né la categoria né l’età del signore col fischietto: giù botte, come si è abituati a fare anche con allenatori e avversari dalle periferie alle metropoli.

Nei pressi di Agrigento il 19enne Diego Alfonzetti dirigeva la gara playoff Under17 (!) tra Riposto e Pedara: è stato aggredito, preso a pugni e calci dai giocatori della squadra di casa e da qualche altro tesserato. Mano pesante del giudice sportivo: squadra esclusa dal campionato e 8 giocatori squalificati fino al 2030.

Comunicato del presidente del Reposto che chiede scusa, chiarendo che non sono questi i valori inculcati dal club da 20 anni a questa parte, ai ragazzi che ne indossano la maglia.

Prima di arrivare alle aggressioni, ci sono anche le minacce. L’arbitro professionista (internazionale) Guida ha denunciato in questi giorni: “Sia io che Maresca abbiamo deciso di non arbitrare a Napoli poiché il calcio viene vissuto in maniera diversa da altri luoghi, come Milano. Io vivo la città di Napoli e abito in provincia. Ho tre figli e mia moglie ha un’attività. È una scelta personale. La mattina devo andare a prendere i miei figli e voglio stare tranquillo. Quando ho commesso degli errori non era così sicuro passeggiare per strada, così come andare a fare la spesa. Pensare di sbagliare ad assegnare un calcio di rigore e non poter uscire di casa per svolgere le mie attività sportive, non mi fa sentire sereno”.

Guida ha attaccato la stampa, accusandola di fomentare tensioni, sollevare sospetti, spargere illazioni. In parte è vero, non starò qui a difendere una casta tifosa e qualche volta più becera di qualche tifoso. Credo però che il problema abbia radici più profonde ed estese. Affondano nella terra del disagio giovanile che oggi tutti conosciamo benissimo, per arrivare all’insofferenza degli adulti che ormai menano gli arbitri come i maestri e i professori di scuola se osano penalizzare i propri pargoletti. Attecchiscono nel professionismo e sbocciano in ogni partita nelle lamentele dei giocatori, nelle loro simulazioni, nei loro inganni al dettaglio, per sconfinare nei prati degli allenatori e dei dirigenti che usano e accusano gli arbitri per farsi scudo, per creare alibi, per sfogare le loro frustrazioni.

La mia età, la reiterata frequenza con cui si parla di questi problemi, la filosofia spicciola che abbraccia – appunto – tematiche sociali più o meno retoriche, invocando l’educazione, il rispetto, il senso civico, la cultura, non servono e non sono mai servite. L’unica cosa che funziona, come dimostrano altri Paesi che hanno debellato (quasi) del tutto questo genere di intemperanze, è la legge del taglione: occhio per occhio.

Tu mi insulti, mi inganni, mi infami, mi insegui, mi aggredisci, mi pigli a calci e pugni? Io ti bastono usando la legge: carcere, squalifiche, radiazioni, punizioni esemplari.

Il tempo delle prediche da pulpiti insozzati è finito: cacciateli via i violenti, senza più stare a perdere energie con comunicati, solidarietà, sdegno, analisi. La risposta è sulle pagine dei regolamenti, basta aprire il cassetto, estrarli, leggerli e finalmente applicarli.Pubblicità

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