PARITA’ DI GENERE NEL DIZIONARIO TRECCANI 2022: ALLORA PERCHE’ NON TRECCAGNE?

Porcomondo, uno non fa in tempo a inverminarsi per le attricette che fanno le politologhe, che subito ti salta fuori qualche altra nuova follia, a scombiccherarmi la Weltanschauung. Sembra che quest’epoca di pazzi non si accontenti degli idioti dell’orrore, ma ne produca in tutti i campi dello scibile umano. Adesso ci si mette di brutto pure l’istituto più prestigioso della Penisola, quello dell’enciclopedia Treccani, che, da Gentile a oggi, di capriole al ribasso sembra averne fatte parecchie.

Mi spiego, sennò non ci capiamo. E’ appena uscita la nuova edizione del dizionario edito dalla Treccani ed è un’edizione, come si suol dire, da brivido. Passi che, qui da noi, i dizionari non hanno mai goduto di particolari fortune: rammento, a titolo esemplare, un glossarietto in cui stava scritto che nelle foibe ci finivano i partigiani a opera dei nazifasci. Tuttavia, supponevo che un vocabolario licenziato da Treccani fosse immune da mende d’ignoranza e, più ancora, che non si piegasse alle mode del momento. E mi sbagliavo, miei cari. Perché, spacciando l’operazione come un coraggioso balzo in avanti, verso l’excelsior culturale, e civile, nel predetto dizionario sono state introdotto alcune novità, altamente significative.

Per esempio, una serie di neologismi che, all’occhio di chi scrive, sembrano, più che altro, demologismi: intesi proprio nel senso di lemmi di chiara e pretta matrice politica. Come, ad esempio, “reddito di cittadinanza”: termine di cui mi auguro scompaia prestissimo l’uso. Dirò di più: mi auguro che scompaia il reddito di cittadinanza come realtà fenomenologica. E, poi, DAD, rider, terrapiattismo: insomma, una bella miscellanea di vocaboli presi un po’ dal gergo dei social network e un po’ direttamente dal Bronx: quanto basta per squalificare nei secoli un istituto culturale.

Il peggio, tuttavia, consiste nella scelta, che non saprei definire se non catastrofica, di introdurre un’esilarante sequenza di termini al femminile, in ossequio alla moda imperante, ossia al femminismo denotativo. Avvocata, chirurga, medica, soldata: sono solo alcuni dei buffi lemmi imposti ai mastri pensatori treccaniani (o treccanici) da un’idea trogloditica di parità di genere. Introdurrei, per riequilibrare il prestigioso dizionario, termini come: prostituto, suoro, levatore: se proprio dobbiamo renderci ridicoli, almeno facciamolo con stile. Se si deve essere alla pari, siamolo in tutto, per la miseria.

Insomma, cari miei, qui stanno sbroccando di brutto, perfino nei penetrali della cultura: penetrali sempre meno tali e cultura sempre più simile a un circo in piazza. Perchè la piazza decide, onnipotente: voluntas populi voluntas dei. E’ l’epoca dei Santori, che discettano di tutto senza sapere nulla. E più il popolo si rivela brutalmente ignorante, animato da sentimenti di una rozzezza inaudita, del tutto incapace di articolare un pensiero organico, più gli intellettuali, del tutto asserviti alle regole della mandria, chinano la gobba e dicono sìsì. Perfino quelli che ritenevamo immuni dalle sesquipedali scempiaggini dei potalosi cruscanti. Perfino la Treccani, sempre più simile, linguisticamente parlando, a tre cani messi insieme. Nomen est omen, d’altro canto.

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