PADANIA, DALLA MASCHERINA ALLA MASCHERA ANTIGAS

di MARIO SCHIANI – Nel 1978, il signor Piero Diacono, tranviere a Milano, aveva trovato la soluzione. Purtroppo, decise di annunciarla a “Portobello”, trasmissione al contempo popolare, popolaresca e perfino pre-populista. Finì che lo presero in giro, un po’ bonariamente e un po’ no, e non se ne parlò più.

Il signor Diacono prometteva di eliminare la nebbia da Milano una volta per tutte. Particolarmente avverso all’insidioso elemento atmosferico per ovvie ragioni professionali, l’ingegnoso tranviere proponeva di “dare aria” alla pianura Padana aprendo uno sbocco a sud-ovest, così da “far corrente” con la naturale apertura sull’Adriatico. Sarebbe bastato, sosteneva, “spianare il Turchino”.

Ora, anche senza considerare le perplessità degli abitanti della zona e la necessità di trovare un percorso alternativo alla Milano-Sanremo, la proposta era niente più di una spiritosa “boutade”, utile solo ad alimentare la galleria di personaggi italiani portata davanti alle telecamere dal compianto Enzo Tortora e dal suo laconico pappagallo. Il problema dell’aria pesante nella pianura Padana, però, non era affatto frutto di fantasia: non lo era nel 1978, non lo è oggi. Il tranviere Diacono aveva il solo torto di aver trovato una soluzione impraticabile a un problema serio.

Se la prendeva con la nebbia, lui, e fosse rimasta solo quella oggi saremmo contenti. Già allora, in diretta telefonica, qualcuno gli contestò che togliere la nebbia da Milano era come strappare a una misteriosa signora il lungo vestito che ne lascia intravedere le forme alimentando il desiderio; altri gli ricordarono il fascino notturno dei Navigli ammantati di foschia. Diacono, prosaicamente, replicò che tutto ciò gli sembrava secondario rispetto al suo cruccio quotidiano di non arrotare i pedoni. Oggi potrebbe aggiungere: e di salvare la salute di tutti.

La nuova mappa della qualità dell’aria pubblicata dall’Agenzia europea per l’ambiente ci rivela infatti che tra le dieci città più inquinate del continente quattro sono italiane: tutte nella pianura Padana. Si tratta di Cremona, Vicenza, Brescia e Pavia. Sarebbe facile snocciolare, per ognuno di questi comuni, il lungo elenco di ragioni culturali, paesaggistiche, storiche e gastronomiche che li rende degni di una visita approfondita. Il problema è che, tolta a breve la mascherina chirurgica per intercessione del ministro Speranza, dovremmo avventurarci da quelle parti dotati di maschera antigas. Non proprio un miglioramento.

Sulla base dei rilevamenti di particolato fine effettuati negli ultimi anni, la qualità dell’aria in questi centri è stata dichiarata “molto scarsa”. Il particolato, ci spiega l’Agenzia, è l’agente di inquinamento atmosferico più pericoloso per la salute, causa di malattie cardiovascolari e polmonari. Un’informazione da ricordare quando si affronta il difficilissimo sudoku con il quale vorremmo venisse conciliata una volta per tutte la tutela dell’ambiente con le necessità dello sviluppo e del lavoro. Entrano, nell’equazione, elementi difficili se non impossibili da governare. La pianura Padana, le sue città e i suoi abitanti meriterebbero però che si facesse almeno un tentativo. Magari incominciando a investire sul serio nel trasporto pubblico locale.

In Lombardia, fuori da Milano, lasciata l’automobile a casa, ci si addentra in una rete di collegamenti ferroviari la cui affidabilità è ancora molto bassa, il livello di sicurezza allarmante, l’estensione e la periodicità delle corse insufficienti a servire una parte del territorio italiano a così alta densità abitativa e produttiva. Il problema delle infrastrutture e delle risorse da destinare loro: senza addentrarmi in un’altra equazione spinosissima, mi sia almeno concesso dire che per qualche ragione sembrano sempre privilegiati gli investimenti nelle autostrade rispetto a quelli per i tracciati ferroviari (a interesse locale).

Intanto, in questa pianura, la gente lavora, produce, vive e cerca perfino di tenersi in forma: correndo e pedalando senza sapere di alimentare così i polmoni a particolato fine. Speriamo in una svolta illuminata e pulita, in più di un senso, della programmazione politica ed economica. Nel frattempo, restiamo con il fiato sospeso. Una pratica che, paradossalmente, si sta rivelando molto salutare.

 

 

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