ORMAI I VIROLOGI AFFOGANO NEL VINO

Bisognava aspettarselo. Dopo la crociata irlandese a favore delle etichette sulle bottiglie di vino per mettere in guardia del potenziale effetto mortale, c’era proprio da aspettarselo.

L’Unione Europea avalla e in casa nostra la gradazione del dibattito comincia a salire. In Italia il vino è un’istituzione ed è inevitabile che scaldi gli animi e anche qualcos’altro naturalmente. Fa sorridere semmai la tavolata degli invitati alla polemica.

Tra le tante sciagure che il Covid ha lasciato in eredità, una delle meno nefaste, ma nondimeno sciagura, è la schiera di virologi e infettivologi che dall’oggi al domani si sono trovati a essere compiacenti primedonne su tutte le tivù nazionali, con voce in capitolo su virus, microbi, batteri e poi su tutto il resto. Ultimamente, anche in campagna elettorale.

Ora il Covid tira molto meno. Non che sia scomparso, ma ha perso le copertine, le prime pagine, i talk show hanno ben altro di cui occuparsi, e scostarsi dai riflettori, magari tornando nel chiuso e nella penombra dei laboratori, non è facile, non è mai stato facile.

Allora ogni occasione può essere quella giusta per riconquistare le poltronissime, e infatti. Parte la Viola, assecondando la linea irlandese e aggiungendo anzi benzina sul fuoco: «Studi recenti hanno analizzato le componenti della struttura cerebrale, dimostrando che uno o due bicchieri di vino al giorno possono alterarle. Insomma, chi beve ha il cervello più piccolo». Terrorismo puro, nel senso letterale che semina il terrore, altro che etichette.

Subito replica Bassetti, rincara Gismondo e affonda il colpo Pregliasco. Tutti smentiscono ed esprimono semmai richiami alla misura e alla cultura, in particolare Pregliasco dice: «Il vino sicuramente rappresenta un rischio per la salute nel momento in cui lo si consuma in modo non congruo. Ritengo che una demonizzazione totale come sempre non abbia senso. E che, come sempre, sia necessario praticare il buonsenso».

Poi ancora: «Il resveratrolo presente nel vino rosso, ad esempio, ha un’azione positiva e immunostimolante e quindi serve ragionevolezza. Giusto invece lanciare un messaggio sui superalcolici e su altri prodotti magari destinati ai giovani», fra i quali non prevale un’attenzione all’«elemento qualità, ma che a volte puntano solo allo `sballo´».

Siamo solo alla prima puntata, garantito, se aizzata al punto giusto la categoria fa audience: inevitabile poi che la diatriba finisca a “Cartabianca”, vogliamo negarci l’invettiva di Mauro Corona, che peraltro potrebbe essere subito una Carta in mano alla Viola per confermare gli effetti nefasti del fiasco?

Comunque sia, secoli a trastullarci con libagioni e tracannate serene, e ora ci tocca fare i conti col demonio, scoprire che si nascondeva in fondo al bicchiere. Un po’ lo sapevamo, ma al massimo, quando si esagera, noi crediamo di dover mettere in conto un martellante mal di testa e il fegato un po’ affaticato, scopriamo invece che il nostro cervello potrebbe restringersi.

Va detto, senza presunzione e da profano, profano della scienza, non del vino, che volendo assumere una prospettiva che quelli preparati definiscono “evidence based”, ossia fondata sull’evidenza dei fatti e dei risultati, io posso testimoniare di aver incontrato in vita mia un’infinità di astemi e posso altresì testimoniare che molti di loro avevano cervelli minuscoli, senza ombra di dubbio minuscoli.

E posso anche testimoniare di avere incontrato in vita mia fior di cervelli che erano anche fior di bevitori, senza che ciò intaccasse eloquio e nessi logici: forse che il vino effettivamente serva da dieta dimagrante per la materia grigia, ma ne preservi agilità e acume?

Insomma, in attesa degli oracoli a venire di infettivologi e virologi, resta da dimostrare se i mentecatti astemi siano nati così o se abbiano abusato di sostanze restringenti.

Lo dico così, senza polemica, a favore di etichetta e di par condicio. E poi, tra l’altro, siamo sicuri che l’etichetta in Irlanda finirà anche sui loro amati whisky?

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