L’Angelo Invisibile ha voluto rendersi visibile solo dopo la sua morte. In una breve mail intitolata “Il mio addio” inviata a Massimo Gramellini ha chiesto di rivelare il suo nome solo dopo tanti anni spesi per aiutare in modo totalmente anonimo centinaia di persone meno fortunate di lui.
Nel 2014 esce il libro “Angelo invisibile”, che all’epoca mi aveva colpito molto per la storia in sé e il suo mistero, per la forza di quest’uomo, per l’ispirazione trasmessa su quanto si possa fare per gli altri anche come semplice cittadini, senza aspettare nessuno o invocare interventi di chicchessia.
Oggi dunque sappiamo che si chiama Roberto Bagnato, 66enne milanese, bocconiano, ex funzionario di banca ed esperto di finanza. Ma, evidentemente, non il tipico profilo del manager rampante della city, piuttosto una persona che mette a disposizione dei deboli non solo soldi, ma prospettive e gesti concreti in modo continuativo, fissando la priorità numero uno alla propria esistenza. Come aiutare a fare i traslochi per gente bisognosa – nascondendo la propria identità – a cui procura un alloggio a sue spese, pagare gli studi al talentuoso ma povero Ahmed, laureatosi poi con 110 e lode, le vacanze pagate ai bambini stranieri che non se le possono permettere, aiuti concreti a chi perde il posto di lavoro e dorme in macchina e tantissimo altro ancora.
La sua semplice filosofia è che bisogna attivarsi in prima persona, andando anche per strada e parlare con la gente. Rifugge da intermediazioni che ritiene complicate e inefficaci, fin da quando una ventina d’anni fa si rimbocca le maniche, decidendo di cambiare vita e dedicarsi alla solidarietà. Poi, nel 2012, a seguito di un‘intervista “mascherata” con un famoso quotidiano e la pubblicazione del libro due anni più tardi, la faccenda gli esplode in mano: troppa corrispondenza e una montagna di richieste di aiuti a cui far fronte da solo. Ecco che allora fa nascere la Fondazione Condividere, in collaborazione con chi lavora nel settore dell’assistenza. Si fa aiutare dalla suora comboniana Luisella, che diventa la sua insostituibile assistente, con cui riesce ad allargare gli interventi umanitari, pur rispettando alla lettera il suo impegno di non apparire mai. La parola condividere per lui ha un’estrema centralità, facendo sue le parole di Papa Francesco, “il verbo condividere è la mia visione del mondo”.
A Milano diventa una leggenda, anche perché la sua missione in una metropoli sempre più spietata con i deboli è particolarmente virtuosa, la gente lo sa bene. In una classifica immaginaria, la povertà a più alto coefficiente di difficoltà è quella cittadina: la sua tesi è che la città meneghina può essere attrattiva e, allo stesso tempo, aiutare chi ha bisogno, senza che ciò rappresenti una contraddizione. Ragionamenti che sindaci e la politica in generale farebbero bene quantomeno a considerare.
La storia di Roberto purtroppo non ha un lieto fine, perché il destino è davvero impietoso e il tumore che lo colpisce è di una tipologia molto rara. Lui, ovviamente, non si arrende e continua la sua opera incessante su una carrozzina fino all’ultimo, dicendo con ironia “non si è mai visto un Angelo che invece di volare va in giro con una sedia”.
La notizia della sua scomparsa è un pugno allo stomaco, che scatena le classiche e insolubili domande esistenziali sul perché proprio lui e tutto il corollario relativo.
Il messaggio dell’Angelo Invisibile è una grande lezione umana e laica che ci parla di profonda coscienza etica, di inesauribile generosità a fari spenti, di fiducia nell’umanità, di energia profusa senza risparmiarsi, di esempio da imitare senza scuse, di umiltà convinta e di feroce volontà nel combattere le diseguaglianze. Le sue esperienze e le sue parole ci indicano una via “alta”, che ci dovrebbe staccare dalle nostre miserie quotidiane, ci incoraggia a coltivare speranze, ci aiuta a essere migliori. Poi si sa, sta solo a noi la scelta: ascoltarle e farci coinvolgere o passare oltre in modo indifferente. Come facciamo nella maggior parte dei casi.