NUOVA MATURITA’, TERRORE E INCUBI SOLO PER I PROF

di MARCO CIMMINO – Una volta, ai bei tempi andati, l’esame di maturità rappresentava uno scoglio significativo, nella carriera scolastica dei ragazzi italiani. E anche un discreto incubo, se vogliamo dirla tutta: conosco gente che si sogna ancora di non averlo superato e di doversi ripresentare davanti a una commissione di cerberi occhialuti, a sillabare ty-ti-re tu pa-tu-lae.

Non che questo esame, alla fine della fiera, fosse poi così complicato: si trattava, però, di una prova abbastanza probante, cui va aggiunta un’adeguata percentuale di nervosismo oltre che quel pizzico di fortuna o, in alternativa, di scrovegna, che colora qualunque circostanza della vita.

Fatto sta che noi, liceali di un altro tempo, eravamo abbastanza su di giri, all’approssimarsi del cimento: chi, come me, trovava conforto nel luppolo e nei suoi derivati, chi passava notti insonni a cercare di colmare lacune incolmabili e chi doveva combattere contro alcuni sgradevoli effetti collaterali, quali mangiarsi le unghie o soffrire di somaticissimi episodi di dissenteria.

Insomma, la paura era una componente essenziale dell’esame di Stato, tanto che alcuni insegnanti postulavano, addirittura, essere quello l’elemento determinante della provata maturazione dello studente: il sapere affrontare i propri demoni.

Oggi, che mi ritrovo dall’altra parte della barricata da tanti anni e che ho assistito al progressivo depotenziamento di qualsivoglia forma di esame, posso garantirvi che quella paura è l’unico fattore sopravvissuto, nel ricco e assortito cerimoniale della maturità. Solo che ha cambiato destinatario. Oggi, gli studenti gavazzano beati e, comunque, non appaiono particolarmente preoccupati di una prova che si risolve in una chiacchierata, in cui poco manca che vengano chiesti loro il numero di scarpe e i gusti in materia di gelati.

Viceversa, ad essere pressochè terrorizzati sono gli insegnanti. Sono loro che si sognano l’esame di notte ed è per loro che l’attuale maturità è stata confezionata come un incubo da quei buontemponi del MIUR.

La scuola italiana è già fornita di peculiari strumenti di terrore, con la sua ricorsofobia, con i vari TAR in agguato come avvoltoi, con dirigenti assatanati e una burocrazia da fare impallidire Ceausescu: in sede di esami, poi, tutto questo pare come distillato.

L’esame, che, per il candidato, denuncia un facilismo monumentale, per la commissione è un percorso a ostacoli, tra modelli, circolari, ordinanze, indicazioni, allegati e ogni sorta di belinata assortita. Ne consegue che il povero presidente e i suoi succedanei passino la maggior parte del tempo a controllare di non aver scritto “Tone” per “Bidone”: poi, tornati a casa, sudano freddo, ricordandosi di non avere indicato l’argomento X o di non avere compilato il modello Y.

Una vita da Kafka, verrebbe da dire. Se a questo si aggiunge il fatto che non tutti i docenti sono dotati di una preparazione adeguata, comprenderete che, fra la paura di sbagliare un verbale e quella di sbagliare tout court, tutta la faccenda si tinga dei colori dello psicodramma.

Va così: questi sono i tempi nuovi dei banchi a rotelle e del “Don Milani reloaded”. Non escludo che ne possa uscire un rifacimento di una celebre pellicola, con un professore in crisi di nervi, al posto del giovane Vaporidis, e una matura insegnante di lingue al posto della cinguettante Capotondi. Una commedia all’italiana, in cui, purtroppo, c’è pochissimo da ridere.

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