NON VORREI MAI CHE SUL CATASTO ANCHE DRAGHI FACESSE IL POLITICO FURBASTRO

Chi pensava che Draghi fosse solo un algido banchiere digiuno delle sottigliezze della politica, è servito. Con la faccia tosta tipica dei bucanieri parlamentari, il giorno dopo lo schiaffo elettorale subito dalla Lega, piazza in consiglio dei ministri la richiesta di avere carta bianca per rifare il sistema fiscale italiano, e ci mette dentro anche la riforma del catasto ovvero delle tasse sulla casa. Poi, serafico, finge di essere sorpreso se la Lega se ne va.

Ora, intendiamoci: la riforma fiscale è un dovere per un governo che deve rifare l’Italia, e se non lo fa questo che ha al suo interno (quasi) tutti, chi mai lo farà?

Ma non prendiamoci in giro: Draghi sa bene, come lo sanno anche i sassi, che la Lega (e la stragrande maggioranza degli italiani) vede come il fumo negli occhi l’idea di aumentare le tasse, soprattutto in un settore cruciale come quello della casa. Piazzare una delega così il martedì dopo queste elezioni, con quelle modalità e quei contenuti, è un evidente schiaffo ulteriore a quel partito. Ma fino a qui, sono schermaglie – appunto – politiche che agli italiani interessano poco e niente: affari di Draghi e di Salvini.
Si dà il caso, però, che nel merito e nel metodo ci siano cose che Draghi – sempre sia lodato – dovrebbe spiegare meglio, perché – sia detto con il massimo rispetto per le capacità dell’uomo che sta tirando fuori l’Italia dalla palude – non è mai bello né saggio prendere in giro gli italiani.

Per esempio: è vero o non è vero che ha consegnato ai ministri il testo della richiesta di delega per la riforma fiscale solo mezz’ora prima del voto in Consiglio? E’ importante saperlo: perché se non è vero i ministri leghisti dovrebbero vergognarsi per non aver sollevato prima le obiezioni, se invece è vero il premier dovrebbe fare ammenda e non abbassarsi a simili giochini da politicante prendendo in giro non tanto i ministri leghisti – che ce ne frega poco – quanto gli italiani.

Sospetto, quest’ultimo, che viene naturale dopo aver ascoltato le parole con le quali ha illustrato il provvedimento. La riforma del catasto – ha scandito Draghi – non comporterà tasse in più o in meno per gli italiani, anche perché serviranno 5 anni per definire i nuovi parametri. Serve solo ad aggiornare le mappe inserendo le migliaia di immobili sostanzialmente abusivi che invadono il territorio. E nessuno, nella conferenza stampa, ha domandato allora per quale motivo la semplice revisione dei mappali è inserita in un decreto che riguarda il fisco.

Anche in questo caso: non prendiamoci in giro, per favore. La ridefinizione dei valori catastali – inserita nel progetto del governo – porterà (fra 5 anni, ovvero per colpa di un futuro governo, quale esso sarà) a un’automatica e matematica ridefinizione parallela delle tasse sulla casa. Illuminante – e inquietante – anche quello che aggiunge il ministro Franco: “E’ solo una mappatura, senza effetti immediati sulle tasse”. Senza effetti immediati, dice, non senza effetti: il che conferma un aumento delle imposte sulla casa fra 5 anni. D’altra parte, a che cosa serve ridefinire i valori catastali? A cambiare le cifre nei casellari dei Comuni, pura e vuota operazione formale? E questo, sia chiaro, non ha nulla a che fare con la valutazione se sia giusto o meno aumentare le tasse sui valori della casa: non è questo il punto. Il punto è che si può anche fare il furbetto, con la Lega, ma non lo si può né si deve fare con gli italiani.

Mario Draghi è apprezzato e ammirato in Italia e all’estero perché ha sempre parlato chiaro e diretto, mai con la “lingua biforcuta” dei politicanti. Non sappiamo, e ci importa fino a un certo punto saperlo, se abbia deciso la mossa “furbetta” dello scontro politico con la Lega ferita dopo la battaglia elettorale per “spingerla fuori” dal governo, come sembra a molti. Ciò che importa è sapere se si rende conto che non ha importanza se la mossa sulle case sia gusta o sbagliata: importa che non la si può fare in maniera “furbetta”, perché gli italiani non sono la Lega o qualsiasi altro partito. E quando capiscono che da “uomo della Provvidenza” sei diventato “uomo di Palazzo” ci mettono un attimo a farti scendere dal piedestallo. E sarebbe un autogol per tutti. Anche per Draghi.

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