NON E’ IN PERICOLO IL PIANETA, SIAMO IN PERICOLO NOI

Non. Avverbio che nega, esclude. Non. La prima grande provocazione sta in quella particella che stravolge il comune senso del pudore: “Non dobbiamo salvare il mondo” (Edizioni Piemme, pg.156), il titolo scelto dall’autore Francesco Vecchi, conduttore di “Mattino Cinque” sull’omonimo canale Mediaset.

Alla faccia delle elementari strategie di marketing, Vecchi è costretto a spiegare questa scelta già nel primo capitolo, dove racconta come nemmeno i suoi familiari fossero d’accordo: il negazionismo non è empiricamente di moda. Ed è nelle prime righe la domanda chiave che dà senso al lavoro del giornalista, scrittore, presentatore, che sul tema ambiente ha dedicato numerose inchieste e puntate del suo programma quotidiano: “Qual è il senso di fare battaglie di principio se, come risultato, ottengono solo quello di peggiorare le cose?”. La risposta è poco sotto: “Non è certo il pianeta ad essere in pericolo: casomai siamo noi”.

Poi pagina dopo pagina Vecchi sostiene con crescente vigore le sue tesi, documentandole e supportandole con numeri, confronti, paragoni, statistiche. Concetti chiari ispirati da esempi, corroborati da testimonianze, approfondimenti: “(…) Fare plastica dall’anidiride carbonica (…) non è una possibilità così irrealistica: l’importante è capire che la via del nostro futuro deve passare dalla scienza, dalla tecnologia e da un razionale pragmatismo”.

Tra le mille citazioni, quella di Reggio Emilia “sul fiume Enza, dove i lavori di una diga sono fermi da più di trent’anni perché nel 1988 fu udito il verso di una lontra, animale protetto in Italia. Da allora, di lontre non se n’è vista neanche una. In compenso il bacino idrico che avrebbe assicurato acqua nei mesi estivi alla piana del Parmigiano Reggiano non è mai stato realizzato e il fiume Po, anno dopo anno, è sempre più in sofferenza”.

Nessuno vuole termovalorizzare Roma, sommersa dai rifiuti che quindi finiscono in Campania, a Brescia o a Copenaghen, in quel famoso impianto che è diventato meta turistica perché è in centro alla capitale e ci si può persino sciare sopra: “Il pianeta che gli ambientalisti di Roma si prefiggono di salvare è lo stesso che gli ambientalisti di Copenaghen contribuiscono a tenere pulito”.

Le contraddizioni e i paradossi ideologici in Italia frenano, in realtà, il processo e il progresso sul tema: “La sostenibilità non si può fare a pezzettini, esiste solo se c’è un equilibrio sostenibile tra interessi diversi. Chi ha ragione tra gli animalisti che non vogliono abbattere i cinghiali e gli agricoltori che invece chiedono il contrario? Chi ha ragione tra i difensori della nidificazione degli uccelli e i fan del treno come mezzo di trasporto meno inquinante? O tra chi tutela il paesaggio impedendo l’installazione delle pale eoliche e chi lo vorrebbe salvare producendo energia più pulita?”

Dipanandosi tra interessi di partito, di mafia, di ideologia che condizionano le priorità, Vecchi conclude che “da qualunque strada si voglia passare, si finisce per mettere sui piatti opposti della bilancia l’economia e l’ambiente, come se necessariamente la crescita dell’una andasse a detrimento dell’altra. La tesi di queste pagine è che non debba andare per forza così e che anzi ci siano tecnologie che possono consentire ad economia e ambiente di remare nella stessa direzione”. La risposta, la via, andrà cercata nella scienza, nella tecnologia e non nella morale del “questo è giusto e questo è sbagliato”.

Concludo con uno dei passaggi più significativi di un libro che non impone verità, tutt’altro, ma indica soluzioni plausibili. Come detto, costruite su fondamenta giornalistiche morto articolate e dettagliate. “Se immaginassimo che in un mondo dominato dai motori elettrici, qualcuno oggi inventasse il diesel, sarebbe facile prevedere che il mercato lo premierebbe in poco tempo: molto più pratico, molto più economico e molto più efficiente”.

Ho parlato di provocazione, all’inizio dell’articolo e limitandomi al titolo del libro. Adesso che l’ho letto tutto, preferisco parlare di riflessione. Profonda. Sarebbe stata assai più angosciante se Vecchi non avesse insistito riga dopo riga nella fiducia sull’intelligenza umana, su quei cervelli che la strada la stanno cercando (e qualcuno già l’ha trovata). Con le sue tesi non si tratta di essere o non essere d’accordo, se non sul fatto che, dicevamo, non è certo il pianeta ad essere in pericolo. Casomai siamo noi.

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