NON CI SONO PIU’ VETTE IMPOSSIBILI

Karakorum, K2

di GHERARDO MAGRI – Come in tanti hanno appreso, l’ultimo dei grandi traguardi alpinistici, considerato un autentico tabù, l’ascesa invernale del K2, è stato raggiunto da una cordata di dieci sherpa nepalesi. Per i non addetti ai lavori, stiamo parlando delle 14 cime himalayane da 8.000 metri e oltre, che sono diventate 28 sfide da vincere in estate e in inverno. Una sorta di Champions League d’alta quota.

Partiamo dalle spedizioni estive. I pionieri della conquista storica del primo ottomila (Annapurna 8.091 m.) è la coppia dei francesi Herzog-Lachenal nel 1950. Gli anni d’oro sono proprio in quella decade, in piena ricostruzione del dopoguerra: la vera motivazione per una nazione era mostrare al mondo che si poteva ricominciare e conquistare le cime più alte dava un grande prestigio internazionale. La più iconica rimane la scalata del tetto planetario (Everest 8.848 m.) ad opera del neozelandese Edmund Hillary con lo sherpa Tenzing Norgay nel 1953. L’Italia vuol fare la sua parte e ce la fa con la montagna più bella e più difficile, la seconda più alta (K2 8.611 m.): una spedizione di successo nel 1954, macchiata da uno strascico di silenzi colpevoli lunghi 54 anni sul vero contributo del grande Walter Bonatti.

Una cima dopo l’altra, la sfida e la competizione si sposta su un altro fronte: chi scalerà per primo tutte le 14 top summit con un grado di difficoltà in più, senza l’ausilio dell’ossigeno. Il primo che compie l’impresa è l’alpinista italiano noto in tutto il mondo, Reinhold Messner: nel 1975 arriva in cima al Gasherbrumnel respirando solo con i suoi polmoni. Lui vuole essere anche il primo a scalarli tutti e quattordici. La concorrenza è agguerrita, però. C’è il fortissimo polacco – Jerzy Kukuczka -, che insidierà la corsa dell’altoatesino fino all’ultimo ottomila. Sarà una questione di pochi mesi. Il 16 ottobre 1986 Reinhold taglia il traguardo e Jerzy ci arriva undici mesi dopo. Aggiungiamo subito che, per amore statistico e per il valore intrinseco dei risultati raggiunti, il polacco ci ha messo solo 8 anni: esattamente la metà di Reinhold.

Molto diversi sono anche i mezzi economici a disposizione dei due. Ricordiamoci cos’era la Polonia in quegli anni. Era già una piccola impresa ottenere i permessi per uscire dal paese, anche per fenomenali scalatori. Per racimolare la somma necessaria alle trasferte, Jerzy era costretto ad arrampicarsi sulle ciminiere delle fabbriche come imbianchino. Dall’altra parte, c’erano i ricchi sponsor occidentali e le spedizioni assistite fino al campo base con plotoni di portatori.

Per completezza, solo un piccolo aggiornamento sui record delle scalate dei 14 ottomila, facilitate da attrezzature più moderne e da percorsi assistiti: il nepalese Nirmal Purja li sale tutti nell’incredibile tempo di soli 6 mesi e 6 giorni nel 2019.

E finalmente arriviamo alle scalate invernali. Solo per uomini duri. I veri specialisti del freddo sono i polacchi, pionieri nel 1980 ad aprire le nuove sfide, conquistando l’Everest.

Si fa strada un altro illustre alpinista italiano – Simone Moro -, che diventa il primatista del sottozero con ben 4 ottomila, tra cui il temibilissimo Nanga Parbat nel 2016, la montagna killer con oltre il 20% di mortalità.

Mancava solo la 14sima: il K2, che sta per Karakorum 2. Già uno spauracchio d’estate, figuriamoci d’inverno. Definita dagli esperti una conquista impossibile. Per rendere l’idea: poco più di 300 i conquistatori del K2 (il secondo meno scalato tra i 14, la seconda ascesa dopo il ’54 avviene 23 anni dopo, mortalità del 26%), oltre 5.500 invece quelli dell’Everest. Lo stesso Moro si era fermato davanti alla piramide perfetta per via di una brutta premonizione della moglie, anche se ultimamente ci stava ripensando.

Sogno infranto. E’ stato battuto sul tempo dai dieci sherpa nepalesi, tra cui anche il fenomenale Nirmal citato prima. Ci sono voluti 71 anni per archiviare i 28 record degli ottomila, estate e inverno tutto compreso. Una sorta di rivincita e di riconoscimento dei valorosi discendenti del loro capostipite Tenzing, che accompagnò con pari valore il neozelandese nell’epica impresa dell’Everest. La classe operaia va in paradiso, questa volta in senso letterale.

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