NOI PADRI ITALIANI A LEZIONE DAL PADRE DI RAMY

C’è in Italia un padre egiziano che ha molto da insegnare a tanti padri italiani.

Si chiama Yehia Elgaml, è il papà di Ramy, quel ragazzo morto schiantandosi contro un palo nella notte milanese, scappando in moto ai Carabinieri chissà per quali suoi oscuri motivi. Subito dopo questa disgrazia infinita, è scoppiata una mezza rivoluzione, si è parlato di infiammata Banlieue italiana, di rivolta delle periferie e degli oppressi, grazie soprattutto al solito delirio del tam-tam social che diffonde involontariamente o magari diabolicamete notizie incomplete, deformate, vigliaccamente false, con il risultato di mettere a ferro e fuoco interi quartieri.

Era montata subito una brutta aria, questa la verità. C’era il martire, c’era la Polizia disumana, c’era l’Italia impietosa e razzista. C’era tutto per scatenare un caos totale, come se il mondo non ne stesse allestendo già abbastanza.

Poi ha preso in mano la situazione questo padre egiziano, arrivato in Italia nel 2011, dopo le rivolte che all’epoca avevano travolto l’Egitto, stabilendosi al Corvetto. “Ramy aveva solo 8 anni”, ricorda ora con tutta la malinconia dell’universo, “ha vissuto qui solo 12 anni”. E poi aggiunge subito la frase più alta e più toccante, sobria e scarna come una poesia, dolcissima e assoluta: “Per me è una giornata difficilissima, io sono senza il pezzo più grande del mio cuore”.

Eppure questo non gli impedisce di esprimere poi chiaramente come la pensi lui davanti a una simile tragedia, davanti al suo pezzo più grande di cuore volato via in una notte folle e maledetta, lui lavoratore nel ramo pulizie, un altro figlio nel ramo sicurezza, la mamma a curare la casa. Fiutando l’aria che sta montando, fuori dall’obitorio accantona per un attimo il dolore e parla da padre, da cittadino, da uomo degno: “Non è il momento di fare una fiaccolata, quando bendiamo Ramy andremo al cimitero. Lo seppelliremo in Italia, dov’è gli è piaciuto stare. Se vogliono fare una fiaccolata non c’è problema, ma noi siamo lontani da questa cosa, restiamo a casa. Ho mandato un messaggio per questi ragazzi che fanno casino: ho detto basta violenza, non accendete fuochi nelle strade, perché Ramy non vuole questa cosa. Per favore, lasciate stare le brutte figure, non fate niente. Io ho fiducia nella giustizia, ho fiducia nei carabinieri, ho fiducia nella polizia italiana, nella polizia locale, io ho fiducia in tutti e rispetto tutti”.

Recita? Se è così, subito l’Oscar.. Ma è molto difficile  che in certi momenti un uomo riesca  a recitare. Dobbiamo piuttosto chiederci onestamente, noi padri italiani, magari quelli che vanno a picchiare i professori perchè non capiscono il figlio, quelli che giustificano sempre la creatura, quelli che insegnano alla creatura come là fuori ci sia sempre un mondo ostile, disumano, subito pronto a prendersela con lui: chiediamoci quanti di noi, in momenti così, avrebbero parlato come il signor Yehia Elgaml, padre egiziano che ha scelto l’Italia e ha imparato ad amarla più di tanti italiani.

Rispetto e ammirazione per quest’uomo distrutto dalla mutilazione più atroce, eppure esempio sublime di dignità e di civiltà. Presidente Mattarella, da cittadino comune le segnalo il caso: so che esistono paludati comitati per prepararle le liste dei migliori, da ricoprire con l’aureola delle onorificenze, come se nelle strade d’Italia tutti i giorni la stragrande maggioranza degli italiani non vivessero al proprio posto da migliori, migliori quanto gli eletti ospitati in pompa gloriosa al Quirinale, nelle messe cantate della vanità nazionale.

Ecco, presidente: se resta un buco libero, si segni questo nome, Yehia Elgaml. Eventuale motivazione: padre saggio, cittadino esemplare. Per una volta, oltre ad essere formali e cerimoniosi, saremmo anche giusti.

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