NOI, MIGRANTI CLANDESTINI NELLO SPAZIO E NEGLI ABISSI MARINI

Gli scienziati mi correggano se sbaglio. Qualche anno fa lessi su “Focus” di una scoperta sensazionale: gli studiosi erano convinti che negli oceani, oltre una certa profondità e cioè il limite dove arriva l’ultimo flebile riflesso di luce, non ci fosse alcuna forma di vita. Non è così: vegetazione, animali capaci di sopportare la pressione e il gelo, creature bioluminescenti, valvi sconosciuti, vi campano sereni. Al buio, ma tirano avanti.

Di conseguenza alcune aziende di ricerca hanno iniziato a realizzare progetti di vere e proprie città bolla sommerse negli abissi, dove anche l’uomo potrebbe avere una speranza di dignitosa sopravvivenza. Lo sprofondo delle nostre acque è al momento meno conosciuto della luna.

Il 10 aprile proveremo un’altra forma di trasloco dal suolo terrestre, grazie a 4 volontari italiani (l’ingegnere spaziale milanese Luca Rossettini, 46 anni; Paolo Guardabasso, 30 anni, siciliano dottorando all’Istituto superiore di aeronautica e spazio di Tolosa; Vittorio Netti, architetto; Simone Paternostro, esperto di telecomunicazione), una dottoressa canadese e un ricercatore francese.

Dopo aver vinto la concorrenza di parecchi candidati, le “cavie” (come le definisce il “Corriere della sera”) si trasferiranno nel deserto dello Utah, nella stazione di ricerca della società privata americana “Mars Society”. Seguendo le direttive del programma Smops (Space medicine operations), con il patrocinio dell’Agenzia spaziale italiana, laggiù la squadra dovrà simulare per un paio di settimane la vita su Marte: utilizzando droni e apparecchiature sofisticate verrà studiato il dna delle rocce, la purificazione dell’aria, la coltivazione di piante. Si svolgeranno anche addestramenti per situazioni di emergenza. Gli scopi primari sono il benessere umano nelle imprese spaziali e l’astronomia, ma con una parte sostanziosa dedicata alle applicazioni terrestri e alla sostenibilità ambientale.

Come ulteriore brandello di cronaca, proprio qualche mattina fa ascoltavo RaiRadio1 rivelare che anche in Italia, dove siamo all’avanguardia, l’Azienda spaziale spende 2 e introita 6 con un bilancio largamente in attivo.

Sono molte le cose che non sappiamo o non abbiamo ancora risolto, nell’universo e sul nostro pianeta moribondo. Per esempio, siamo ancora convinti di essere soli nell’universo perché gli avvistamenti di dischi volanti extraterrestri non hanno mai avuto il seguito della discesa di ET dalle scalette, restando quindi catalogati come abbagli di oggetti genericamente non identificati.

Una cosa, però, ci è molto chiara da tempo: se non mettiamo a posto le cose nel mondo, non resterà che andarsene. Sott’acqua o su un altro pianeta “naturalmente” disposto ad ospitarci. E’ una possibilità. L’unica condizione è che lassù o laggiù la generazione dei Gretini faccia tesoro dello scempio compiuto qua dai loro predecessori, altrimenti inizierà una devastazione interplanetaria, come avviene quando passano negli autogrill certi teppisti in trasferta con la scusa del calcio. La proporzione è infatti ormai sbilanciatissima, irrimediabile se non gira il vento: per uno scienziato che lavora con lo scopo di farci restare a vivere in questo paradiso, ci sono milioni di comuni mortali che sporcano, bruciano, inquinano, sprecano, intossicano.

Si torna sul tema dell’accoglienza, stavolta però dell’umanità intera: negli abissi, su Marte o chissà dove, saremo tutti profughi incolonnati. Qualcuno sta provando a rendere possibile uno sbarco.

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