NO VAX A CASA: L’IMPRESA DEVE SCEGLIERE LA SALUTE

di GHERARDO MAGRI – Il tema del green pass è l’argomento del giorno non solo per tutti noi semplici cittadini, ma anche per il mondo delle aziende. I primi squilli di tromba sono arrivati dal “signore del cashmere” Cuccinelli, che ha proposto di lasciare a casa i suoi dipendenti (stimati da lui in un piccolo 1% dei 1.200 totali) che non si vogliono sottoporre al vaccino, con la garanzia dello stipendio pieno almeno per i primi sei mesi. L’obiettivo è di non contaminare gli altri, senza però discriminare nessuno dal punto di vista retributivo. Una bella provocazione, che ha scatenato un domino di altre iniziative simili, che hanno acceso un confronto serrato tra Confindustria e sindacati, tuttora in corso.

Lasciamo stare la politica per un momento. Parliamo di come le aziende siano ormai parte integrante e integrata della società e di quanto possano influenzarla con i propri comportamenti. Cioè, facendo ciò a cui sono più abituate: scegliere da che parte stare. Non si tratta di lasciarsi trascinare dagli eventi e vivere in modo opportunistico l’evolversi delle varie situazioni, aspettando decreti a nastro. No, qui stiamo parlando di dare nuove priorità e di decidere con la propria testa: o la salute o la produttività, estremizzando.

Chi ha scelto di privilegiare in ogni modo la salute dei dipendenti ha messo a rischio fatturati e tutto il resto, seguendo un percorso sconosciuto e insidioso ma che alla fine si è rivelato virtuoso. Alcuni esempi pratici gestiti in prima persona. I lockdown degli uffici, ad eccezione del primo obbligatorio per legge, si sono susseguiti in funzione del colore della regione della sede: rosso = chiusura. Ne abbiamo fatti in totale quattro, con flessibilità e difficoltà che si possono immaginare. I metri di distanza tra un posto di lavoro e l’altro sono diventati tre da subito, determinando così una riduzione drastica di presenze in ufficio. Distribuzione generosa di mascherine e disinfettanti a dipendenti e clienti su tutto il territorio nazionale. Tamponi molecolari al rientro completamente rimborsati. Gli accumuli di ferie utilizzati al massimo per evitare la cassa integrazione e (ancora una volta) la troppa densità in azienda. I servizi essenziali, come la mensa aziendale, per ovvi motivi chiusa, sostituita da “lunch box” individuali. Parcheggi e rimborsi chilometri per utilizzo mezzi privati a carico dell’azienda. Contrattualizzazione dello smart working e fornitura di kit da lavoro per il massimo confort da casa. Solidarietà non solo a parole ma nei fatti ai colleghi colpiti dal Covid (due gravi), con testimonianze interne memorabili. Gruppi di lavoro per parlare dell’esperienza.

Tutto ciò con una totale condivisione delle scelte e dei passi da compiere, attraverso una costante comunicazione e sondaggi interni di opinione. Il risultato finale? Grande motivazione interna e orgoglio di ciò che si è fatto: l’organizzazione ha dimostrato che ha retto l’urto e molto bene. Si è aggiunta anche la ripresa dei mercati che ha spinto i numeri, aggiungendo una ciliegina sulla torta quanto mai apprezzata.

In un contesto così, il passaggio al green pass aziendale è la naturale conseguenza di un comportamento prudente e coerente, che niente ha a che fare con la discriminazione.

La tutela della salute prima di tutto, specialmente dopo tutte queste sofferenze. Di pari passo la tutela dei diritti. Senza fare come Cucinelli che ti vuole a casa, si può fare qualcosa di intermedio. Riapriamo la mensa aziendale col green pass? Se non ce l’hai non è che salti il pasto, avrai il tuo bravo lunch box. Eventi aziendali in presenza, non puoi partecipare? Ti collegherai in streaming dal tuo pc. E così via.

Anche tu che non vuoi vaccinarti hai fatto la tua scelta: non omologarti al gregge (ormai quasi immune) e tenere le distanze. Sarai accontentato.

 

 

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