NO, SEQUESTRARE IL TELEFONINO A SCUOLA NON E’ COSI’ INTELLIGENTE

Che i ragazzi vivano incollati ai loro smartphone è tristissima verità. Non appena l’insegnante, a scuola, allent un tantino la propria arcigna sorveglianza: TAC! Rapidi come cobra, gli studenti tirano fuori i propri telefonini da zaini e tasche, e cominciano freneticamente a digitare. Messaggino alla morosa, giochino per decerebrati, concorso a risposte multiple, poco cambia: lo smartphone è diventato una sorta di appendice del giovanoide. Anzi, per la verità, spesso sembra essere il giovanoide a rappresentare un’appendice dello smartphone.

Deciso ad interrompere questo veloce declino delle capacità cognitive del corpo studentesco, il preside del liceo “Malpighi” di Bologna, ha proibito l’uso dei cellulari, imponendone il ritiro all’inizio delle lezioni e la sua restituzione alla fine.

Pare dunque che tutte le trovate, belle o brutte, partano dal capoluogo felsineo, capace di generare persone come il preside Ferrari e, del pari, casi umani, come quello di Santori: ah, cara Bologna, incubo e gaudio della ridente Penisola! Fatto sta che al “Malpighi” non si scherza: indossati i panni del “tron de dieu”, il dirigente ha emesso il decreto draconiano, che, per la sua originalità, ha captato l’attenzione dei cronisti nostrani.

Oddio, l’idea tanto originale non è: l’applicano già in molteplici scuole. Tuttavia, il fatto che questa decisione sia stata presa in una scuola prestigiosa come il “Malpighi” e in una città-laboratorio (non si sa bene di cosa, in verità) come Bologna, deve avere incuriosito il demimonde giornalistico, tanto da suscitare un’ondata di commenti. Chi favorevole, chi contrario, chi così e così: come sempre accade in un Paese robustamente schizoide come il nostro.

Ovviamente, usare lo smartphone in classe, per farsi, a vario titolo, gli affari propri, è altamente disdicevole: lo studente si distrae, si astrae e, un pochino, diciamocelo, si rimbambisce. Ma proviamo a vederla anche da un’altra angolazione: evitiamo di accorpare, nello stesso ragionamento, il peggior misoneismo e la più decrepita didattica. Insomma, cerchiamo di essere pratici, una volta tanto. Lo smartphone non è una monade, non è un demone e non è nemmeno un essere senziente: è un elettrodomestico. Grazie alla tecnologia degli smartphone, il mondo non solo comunica, ma compie, in remoto, un’infinità di operazioni, che nessuno si sente in diritto di censurare: home-banking e fotografie, informazione e amministrazione. Naturalmente, un elettrodomestico è utile in base all’uso che se ne faccia: anche una lavatrice può essere perniciosissima, se la si lancia in testa al prossimo, dal quinto piano.

Dunque, la mia modestissima proposta è la seguente: anziché trattare la tecnologia come se rappresentasse l’ultima frontiera della decadenza umana, piegarla alla comodità e all’utilità per cui, in teoria, essa viene concepita. Mi spiego meglio: il divieto del preside Ferrari suona molto di extrema ratio. Dà la sensazione di una difesa al Piave, oltre la quale si assisterebbe al disastroso dilagare di un’epidemia smartphonecentrica. E se, invece, usassimo la tecnologia cellulare e sfruttassimo lo straordinario fascino che esercita sui ragazzi? Se facessimo loro usare lo smartphone, per la lettura digitale, per la ricerca delle fonti, per la visione in contemporanea di video, prenderemmo due piccioni con una fava: da una parte, impediremmo allo studente l’uso, diciamo così, deleterio dello strumento e, dall’altra, lo doteremmo di un poderoso strumento di sapere.

In definitiva, useremmo la forza stessa dello smartphone contro lo smartphone, in una specie di judo educativo. Perché non si capisce come si possano impiegare un sacco di soldi per comprare LIM, digital board e simili, quando l’equivalente, a costo zero per la scuola, è già nelle mani di ogni singolo studente e basterebbe saperlo gestire. Qui, però, intervengono altre questioni, altri interessi, che con il benessere mentale dei nostri figli c’entrano pochissimo. Ma di queste cose, a Bologna, non se ne sono mai occupati, fin dal tempo di Pepone e di Accursio: ecco, magari, chi non sa chi sono questi due signori potrebbe inaugurare da qui l’uso didattico del telefonino, andandosi a cercare qualcosa sul loro conto.

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