NO, SALVINI NON STA SERENO

di ARIO GERVASUTTI – Se glielo chiedono in una conferenza stampa, Luca Zaia risponde con un linguaggio da perfetto democristiano d’altri tempi: “Io presidente del Consiglio? Sono concentrato solo sul mio Veneto”. Che vuol dire tutto e niente. Ma se glielo chiedono durante una cena tra amici (per lui frugale, per gli altri sempre meno), risponde con il linguaggio che gli è più affine, con quell’idioma veneto che dai tempi della Serenissima si è reso facilmente comprensibile quantomeno in tutto il Mediterraneo: “Ma sito mona?”. Che è qualcosa di più, di diverso dal “Ma sei matto?” con cui lo interpretano certi traduttori. E’ una risposta che sottintende incredulità verso l’interlocutore, stupore per la sua ingenuità o dabbenaggine, ironia per il suo essere e vivere fuori dal tempo.

Perché lui, Luca Zaia da Conegliano Veneto, proprio non concepisce come si possa essere ingenui e fuori dal tempo al punto di credere che lui possa davvero, come ora dicono in tanti, prendere il posto di Salvini alla guida della Lega e del centrodestra in vista delle prossime elezioni, se e quando ci saranno. Davvero non capisce come e perché dovrebbe infilarsi in un tritacarne a Roma quando se ne sta seduto sul trono che più di tutti gli calza a pennello, quello di Governatore della propria regione. Governatore, sia chiaro, non Presidente: perché lui non presiede, governa. Si presiede un Consiglio, un’assemblea. Ma Zaia in Consiglio regionale non ci va quasi mai, e le sedute di giunta sono molto più rapide e concrete del CdA di una qualsiasi azienda: il tempo di ratificare le decisioni già discusse e prese, una firma e via. Governare, invece, è un’altra cosa. Più simile al controllo che esercita il capitano di una nave. In fondo, è la corrente che lo porta, lui deve solo stare attento ad evitare gli scogli e mantenere la barra verso la direzione presa. E per farlo, ha pieni poteri. Cosa che con avrebbe, appunto, nel tritacarne romano.

E allora, chi glielo fa fare di mollare il mare interno veneto per avventurarsi nella tempesta dell’oceano nazionale? Eppure chi non lo conosce, e soprattutto non conosce il Veneto e i veneti, non gli crede. Il motivo è lo stesso per il quale le istanze di autonomia della sua regione vengono irrise e frustrate da anni: sembra impossibile che un territorio di 5 milioni di abitanti grande metà del Belgio e meno della Slovenia voglia “fare da solo” e si ritenga autosufficiente. Dimenticando che 500 anni di storia e cultura Serenissima non si cancellano facilmente. E in Veneto il Governatore è ancora e davvero un Doge. Nel senso che, una volta eletto, riceve un’investitura piena che comporta onori e oneri. E se righi dritto, se non ti monti la testa, se dopo aver incontrato i capi di Stato ritorni alla sagra del pesce di Chioggia per mangiare un fritto in mezzo alla gente (rigorosamente non in un tavolo separato), e soprattutto se non approfitti del tuo ruolo per affari privati di qualsiasi tipo, piccoli o grandi che siano, allora puoi anche essere rieletto con il 70 per cento dei consensi per tre volte di fila.

E che cosa puoi volere di più dalla vita, se sei veneto fino al midollo? Per conferma, chiedere al suo predecessore. Giancarlo Galan la pensava allo stesso modo, nel senso che per lui guidare il Veneto era paragonabile ad accompagnarsi con Claudia Schiffer, e non solo alla sagra del pesce di Chioggia. Peccato che abbia superato il limite, la soglia che separa il Doge dal Padrone. Badate bene, i limite non è una questione di schei, poco importa se rubati o guadagnati: queste sono miserie buone per i magistrati, i cronisti di giudiziaria e i tifosi di questa o quella curva politica. No, è una questione di limite invalicabile, come la mela di Adamo ed Eva. E Galan quel limite l’ha superato quando si è autoincoronato con una memorabile iniziazione: “Il Nordest sono io!”. Mai alzare troppo la cresta con i veneti: ti perdonano tutto, ma non la superbia.

Una lezione che nei secoli i Dogi, quasi tutti, hanno sempre tenuto a mente. Quelli che l’hanno dimenticata sono finiti male a cominciare da Marino Faliero, che nel 1355 fu decapitato in piazza San Marco: a un tipo che se la cavava nella scrittura come Francesco Petrarca bastarono poche parole per spiegarne il motivo: “I Dogi impareranno che sono le guide e non i padroni dello Stato. Che dico le guide? Unicamente gli onorati servitori della Repubblica”. Regola numero uno: volare basso. Puoi anche costruire il Passante di Mestre o il Mose, opere che comunque la si pensi resteranno nella storia, ma se alzi la cresta (e peggio ancora se la fai, la cresta) nulla ti sarà perdonato.

Meglio quindi dedicarsi con minuziosità e cautela all’ordinaria amministrazione. E farsi trovare pronto al fianco del popolo (al fianco, non sopra) nei momenti di emergenza. Una lezione che dopo i Dogi fu la Bibbia laica di quei democratici cristiani che fecero dei territori della Serenissima il ventre capiente della Balena Bianca. Gente per la quale prima veniva il collegio elettorale, battuto settimanalmente palmo a palmo e sagra per sagra, e poi venivano le questioni romane. Se Galan era un liberale nel corpo e nella mente – di quei liberali veri, che facevano i congressi di partito in una cabina telefonica per chi se le ricorda – Zaia è un democristiano. E per questo, agli occhi di Salvini, molto pericoloso. il Capitano l’ha capito benissimo, e non è un caso se pur potendo usare i successi del Veneto leghista nella guerra al Corinavirus il segretario del Carroccio si guarda bene dal farlo. Fateci caso: i complimenti per la gestione dell’emergenza veneta sono arrivati da tutte le parti, perfino da sinistra, ma da Salvini neanche un cenno. In altre situazioni, forse in altri tempi, l’avrebbe usato per fare una diretta facebook al giorno. Invece niente, un significativo silenzio. Perché Salvini ha fiuto, sa da dove può arrivare il pericolo. Non è come quegli svagati che continuano a vedere nella Lega di Zaia un manipolo di secessionisti alimentati dalla benzina dell’ignoranza: quella è una caricatura buona per appagare l’immaginario collettivo delle terrazze radical chic romane, citofonare Michele Santoro. Così possono sorridere e tranquillizzarsi credendo di avere a che fare con il personaggio del Pojana, magistralmente interpretato da Andrea Pennacchi con le sue incursioni nelle terrazze ancor più radical chic della televisione italiana, quelle di La7: se quello è il Veneto – pensano – se quello è il Nordest, allora chi mai ci potrà sfiorare?

Stiano sereni, allora. Salvini, sereno non lo è di sicuro. Lascia che siano gli altri a sorprendersi se mentre guardano compiaciuti il Pojana che hanno di fronte, alle spalle – dolorosamente – arriva un democristiano.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *