Si sprecano, gli “io lo avevo detto”. La cronaca di un fallimento annunciato non era solo nei pensieri dei tifosi del Milan e della stragrande maggioranza degli opinionisti, ma anche in una clausola del contratto all’allenatore Paulo Fonseca: secondo quella postilla capestro, il tecnico avrebbe dovuto rinunciare ai rimanenti 2 anni di stipendio se fosse stato esonerato entro 6 mesi dall’assunzione. Fiducia un tot al chilo, e così sia.
L’assunzione del successore di Stefano Pioli non sarebbe mai stata una garanzia di successo, ma costituiva senz’altro un messaggio importante all’ambiente. Tornato – dopo anni di vacche magre – a scudetto, piazzamenti sul podio e partecipazioni costanti alla Champions come nella sua storia, dopo il ciclo quinquennale di Pioli ci si aspettava un upgrade, un Antonio Conte insomma.
Il profilo di Fonseca ha sollevato da subito dubbi e malumori, anche perché era già il successore di un altro allenatore che sulla panchina rossonera non si è mai seduto nemmeno per un secondo, lo spagnolo Julien Lopetegui rigettato dalla tifoseria insorta.
La sensazione di solitudine che Fonseca ha trasmesso in questi mesi è stato l’unico elemento di continuità, colto dai media che piantonano quotidianamente i cancelli di Milanello, in attesa dell’arrivo del dirigente di turno nel doppio ruolo di sentinella del coach e balia dei giocatori. Lui ci ha messo del suo, ponendosi frontalmente rispetto a stelle appannate come Leao e Theo, non creando mai un’idea di “gruppo”, senza riuscire a dare un’identità, uno spessore, un gioco insomma a una squadra che annaspa all’8° posto a 14 punti dall’Atalanta in vetta.
Modi e tempistica del suo allontanamento hanno però colpito ancor più dell’esonero stesso: tra quattro giorni il Milan sarà in campo contro la Juventus nella semifinale di Supercoppa italiana, ha giocato contro la Roma una buona partita (la meno peggio dell’ultimo mese), già da settimane c’erano i sentori di una rottura. Che il suo destino fosse deciso dal giorno precedente e che probabilmente nemmeno una vittoria sui giallorossi ne avrebbe mutato il corso, è opinione diffusa e spiazza ogni commento postumo.
Lasciare andare Fonseca davanti ai microfoni e in conferenza stampa senza che – ha detto lui – fosse a conoscenza del siluramento, domenica sera nel dopo gara contro la Roma, è stato un triste, inelegante epilogo. La partita era stata preceduta dalle voci dell’accordo del club con Coinceçao (rivelatesi fondate) e accompagnata dalla feroce contestazione dei tifosi, che per 90′ – così come nelle settimane precedenti Natale – hanno avuto nel mirino proprietà e dirigenza.
L’algida, muta gestione americana non piace, non soddisfa il popolo rossonero e genera sperticate critiche di analisti e opinionisti: per un cambio di rotta i tifosi non intendono attendere la posa del primo mattone del nuovo stadio e chiedono la vendita immediata della società.
I risultati sportivi sono deludenti, per usare un eufemismo, in mancanza di comunicazione, di una figura operativa come quella del direttore sportivo, di un progetto ambizioso sul campo oltre che nei conti e nei bilanci.
San Siro trabocca di passione e di entusiasmo, il sold-out si ripete puntuale in ogni occasione, ma le aspettative dopo lo scudetto del 2022 sono state disattese in serie. Le colpe rovesciate sui giocatori dallo stesso Fonseca, sulla loro mentalità e sui loro atteggiamenti, oggi mettono con le spalle al muro tutti: paga l’allenatore, che però era stato scelto e presentato come il profilo giusto (salvo scoprire nel contratto il semestre di prova). Le responsabilità di questa situazione coinvolgono tutti e non escludono nessuno: è il momento dell’autocritica, della riflessione e del coraggio di alzare la mano e parlare. Non sarà sufficiente per tornare a vincere le partite, ma almeno per provare a ridare senso a qualcosa che un senso non ce l’ha.
Non ho proprio idea di come finirà quest’anno, ma sperando che il Milan si riprenda, mi auguro di vedere voi critici del sapevo tutto io, chiedere scusa. Ma non accadrà, non accade mai. C’è sempre un motivo per criticare e se non c’è, lo si inventa. Quello che mi fa più rabbia è che così date corda a quei delinquenti della curva che protestano, con tutta evidenza, perché non riescono più a fare i loro porci comodi.
Purtroppo il fallimento Milan oltre alla prima squadra comprende anche il Milan Futuro dove si continua a schierare una squadra di volenterosi ragazzi in serie C senza capire che ci volevano sia un allenatore esperto che giocatori di categoria.
Complimenti al dirigente Ibrahimovic e a chi lo ha voluto in quella posizione che ha dimostrato di non meritare e di non avere le capacità. Un rimpianto per Maldini ci sta tutto
Saluti