NO, A SCUOLA NON CI SONO SOLO BABYSTRAPPONE CON L’OMBELICO DI FUORI

Lucetta Scaraffia, su “La Stampa”, a proposito della studentessa romana con pancia all’aria durante un’ora buca in classe, esprime nostalgia per il grembiule a scuola, a sua detta democratico perché uniformava tutti gli studenti.

Per emergere, ai tempi in cui la professoressa frequentava le scuole superiori, bisognava mettere in campo un tratto essenziale dell’essere umano: la personalità.

Mi trovo perfettamente d’accordo con la signora Scaraffia, ma vorrei offrire anche un punto di vista moderno, mutuato dalla mia personale osservazione dell’ambito scolastico frequentato da mia figlia, la minore, ancora al liceo.

Dunque, trattasi di liceo artistico, luogo nel quale, per definizione, la trasgressione è più tollerata rispetto ad altri tipi di istituti.

Ebbene, persino qui l’atteggiamento delle studentesse (la maggioranza di femmine è un dato oggettivo) non è libero come si potrebbe immaginare. Il senso del limite esiste, esiste eccome.

Mia figlia e le sue compagne sono perfettamente consce del fatto che la scuola è un luogo che vive di regole, anche sul versante abbigliamento, e sanno fin dove possono spingersi.

Hanno cioè capito fin dove l’originalità del vestire è arte e quale sia la soglia da non superare perché quest’ultima diventi volgarità.

Anzi, direi che ultimamente siamo quasi all’inversione di tendenza: da anni, nei corridoi della scuola, si incrociano studenti con i capelli di tutti i colori tranne che naturali. Ma da qualche tempo pare essere più alla moda chi non tinge la chioma.

Un altro segnale netto del fatto che i ragazzi percepiscono di vivere in una società fatta di regole mi giunge sempre dalla mia diciottenne artista.

Qualche giorno fa, seguendo il servizio di un telegiornale relativo ai prossimi referendum, esclama: “Ma quindi alle prossime votazioni anche io voterò”.

E di seguito tre domande: “Sarò capace?”, la tranquillizzo dicendole che certo, ce la farà; “Ma non ho capito i quesiti (sulla giustizia)”, e anche qui la rassicuro: nemmeno io ho capito tutto ma, prima del referendum, avremo tempo per studiare; e poi l’ultima preoccupazione: “Ma cosa mi metto per andare a votare?”.

Ecco, questa in fondo è la domanda che più delle altre mi ha colpito e mi ha fatto piacere sentire, perché significa che la prima volta al voto è percepita come importante, e il seggio elettorale (anche se si tratta delle scuole elementari del paese, le stesse che ha frequentato lei) è visto come un luogo delle istituzioni, con la sacralità connessa, nel quale si va vestiti in maniera consona, non come ci pare.

Esattamente come è percepita la scuola.

So bene che non si può generalizzare, e che certamente esistono realtà diversissime sul territorio nazionale, ma la pur semplice e limitata osservazione di un ambito poco più che domestico come il mio, mi lascia sperare per il futuro. Nonostante tutto.

 

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