NIENTE EGITTO, LA GRANDE SINFONIA DELLA SCALA PER LA LIBERTA’

A parte le polemiche tra sindacati e direzione della Scala di Milano, con i primi a rivendicare gli intenti, la seconda a rimarcare che non c’è nulla da rivendicare, dalla querelle emerge l’unica cosa che conta, la decisione degli artisti, i musicisti della Scala appunto: in Egitto non si va. In Egitto non si va per via del caso Regeni, per via di Zaki, per via del fatto che qualcuno non le prenderebbe proprio in considerazione le nazioni che i diritti umani li calpestano con nonscialanza.

Una decisione che a me suona confortante. Suona, sì, come potrebbe essere diversamente, trattandosi dell’orchestra della Scala. C’è la polemica, tenue per carità, i sindacati che subito vestono la casacca dei difensori delle libertà, è grazie a noi e al supporto che a noi è stato chiesto se l’orchestra non andrà in Egitto schierandosi contro i barbari dicono. Dalla cima della gradinata, dall’altra parte, che nemmeno sarebbe una controparte, pacatamente ribattono che innanzitutto in Egitto non sarebbe stato possibile andare, per ragioni di calendario, e poi, anche senza i sindacati, la maggioranza degli orchestranti già si era espressa in modo chiaro e stentoreo senza opposizione da parte della direzione.

La morale non è banale, ci dice che si può fare, alzare il capo e dire la propria, schierarsi e poi eventualmente opporsi, come quasi mai avviene quando c’è di mezzo comunque un introito. Gli introiti però passano e vanno, le coscienze no, smacchiarle non è così semplice. Quindi bravi bene bis agli orchestrali. Qualcuno dirà che la cultura e la circolazione della cultura non hanno colpe e non devono essere strumentalizzate per ragioni che esulano dall’arte in sé. Qualcuno dirà che si poteva osare anche di più invece, andare e direttamente dal palco sventolare tutto il proprio dissenso. Tutto vero, ma ognuno poi decide l’azione, a conseguenza del pensiero. Non è comune e usuale una presa di posizione così chiara e netta e rimarcata dai singoli che ci mettono la faccia, perché più di uno ha ribadito il fiero intento mettendoci il volto, sia pure inevitabilmente mascherato.

Tra qualche mese assisteremo ai mondiali in Qatar, i mondiali di calcio, quelli che fanno fermare il mondo. Durante le qualificazioni alcune squadre hanno espresso una protesta contro le violazioni dei diritti umani nel corso dei lavori di preparazione, sarebbero già morti almeno 6.500 operai, provenienti da India, Pakistan, Nepal, BanglaDesh, Sri lanka. Norvegia, Germania, Olanda hanno adottato una T-shirt con la scritta “diritti umani, dentro e fuori dal campo”, è qualcosa, ma davvero poca cosa. Qualcuno si ricorderà di queste morti? Qualcuno forse deciderà di non andare ai mondiali in Qatar per protesta contro le violazioni dei diritti umani? No, non accadrà. L’Italia probabilmente non ci andrà, ma questa è un’altra storia.

P.S.Si parla di 6.500 morti, ma siccome le stragi non amano le cifre tonde, io vorrei sapere se sono 6487 o 6521. Così, per rispetto, se conta qualcosa.

 

 

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