di ANDREA IANNUZZI – Una consolidata regola nel business dei media dice che “print dollars are replaced by digital dimes”, i ricavi (pubblicitari e da abbonamenti) che per i prodotti di carta si quantificano in dollari, quando vengono dai prodotti digitali si trasformano in spiccioli. Detta in altri termini, anche se il mercato digitale è in continua espansione mentre quello della carta prosegue nel suo ineluttabile declino, in molte aziende editoriali è ancora il settore stampa a “pagare gli stipendi”. E la strada per arrivare a un modello sostenibile solo, o prevalentemente, con le entrate digitali è ancora lunga.
Ma da oggi questa regola ha trovato la sua eccezione grazie, ça va sans dire, al New York Times (e all’effetto Covid 19). Nel comunicare i risultati finanziari del secondo trimestre, la società di Times Square ha annunciato che per la prima volta i ricavi digitali, sommando abbonamenti e pubblicità, hanno superato quelli della carta: 185,5 milioni di dollari contro 175,4. Il risultato è l’effetto di diversi fattori combinati e in gran parte legati alla pandemia: il crollo degli inserzionisti ha inciso sulla stampa molto più che sull’online (rispettivamente -55% e -32% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, per un totale di perdite del 44%, pari a 120,8 milioni di dollari); e nel contempo si è registrato un aumento dei ricavi editoriali digitali del 29,6% anno su anno, pari a 146 milioni, frutto dei 669 mila nuovi abbonamenti sottoscritti in tre mesi, miglior risultato di sempre per il Nyt. Dall’altra parte, le entrate da abbonamenti cartacei e vendite in edicola sono calate del 6,7%, attestandosi a 147,2 milioni. Ad oggi, gli abbonati sono 6,5 milioni, dei quali 5,7 solo digitali, cifra che rende realistico l’obiettivo dei 10 milioni di abbonati da superare nel 2025.