NESSUNO SENTIVA LA MANCANZA DI WANNA MARCHI E FIGLIA

Il denaro, le prime pagine, le copertine: esistono soltanto quelle.

Non conta quale valore o quale vittima si calpesti, l’importante è fatturare, arricchirsi attraverso visualizzazioni e abbonati. È la mentalità che sembra in questo caso aver sposato la piattaforma Netflix, non pensandoci due volte a dare spazio e a pubblicizzare due truffatrici per eccellenza come Wanna Marchi e sua figlia Stefania Nobile.

C’è ancora tanta gente che si sta leccando le ferite per le malefatte della famigerata Wanna e della figlia urlatrice. Famiglie che, all’epoca dei fatti, hanno pagato a caro prezzo la loro disperazione, la loro debolezza, finendo nelle mani sbagliate. Quelle di Wanna e dei suoi complici.

Truffe per decine di milioni di lire, ricatti e strozzinaggio senza precedenti per una televenditrice che, a partire dagli anni ‘80, ha costruito un impero sulle menzogne e sugli insulti alle stesse persone a cui ha venduto il nulla. “I coglioni vanno inculati”, sostiene la Marchi all’indirizzo di coloro i quali cadono facilmente preda di numeri magici e amuleti. E pensare che il suo modo di fare schietto, tipico emiliano – nonché la sua risoluta volontà di distinguersi dalla massa – ce la fanno apparire quasi simpatica. Peccato abbia sempre nascosto quell’intelligenza sinistra e subdola che le hanno permesso di soggiogare il prossimo.

Wanna Marchi si dilettava in una vendita molto aggressiva, atta a spronare l’acquirente a vedere il peggio di sé e a cercare immediatamente una soluzione. Proprio quella che proponeva la Marchi. Un condizionamento psicologico che, quasi sempre, funzionava, in quanto giocava sulle fragilità e i desideri della gente.

Dava dei “lardosi” al pubblico, mostrando loro del grasso di vitello in diretta e paragonandolo al loro grasso addominale. Tutto questo per vendere lo “scioglipancia”, un prodotto che Wanna Marchi reclamizzò prima ancora che fosse inventato e progettato. Il tutto col sostegno della figlia.

Poi si passò alla vendita dei numeri fortunati, con la complicità del Mago do Nascimento. Questo svelò un’Italia credulona e incapace di distinguere il vero dal fittizio. Gente – nei casi più superficiali – disposta a spendere cifre elevatissime per la rimozione del malocchio. E c’era chi faceva i conti con figli o consorti allo stato terminale, a cui Wanna Marchi prometteva guarigioni e terapie miracolose.

Una persuasione a livelli estremi che adesso Netflix – nella sua docuserie – utilizza per i propri scopi. Un progetto sicuramente interessante – per certi versi curioso e affascinante – ma che mostra ancora una volta come i titoli di consumo si concentrino spesso più sul desiderio di far parlare di sé che sull’effettiva moralità del proprio contenuto. E qui, di morale, ne troviamo ben poca.

Sono d’accordo nel raccontare alle nuove generazioni storie e aneddoti su personaggi che, nel bene e nel male, hanno fatto parte della storia del nostro paese. Ma trovo di cattivo gusto interpellare proprio le dirette interessate, intervistarle e regalare loro ulteriore visibilità. Specie dietro possibile, probabile, compenso economico o percentuale sui diritti del prodotto. Bastava assumere delle attrici e si sarebbe affrontato l’argomento con il giusto rispetto verso le vittime di due galeotte, che ancora oggi affermano di non essersi pentite. Con tanto di annuncio che quanto prima cominceranno ad operare in Albania…

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