Mancava soltanto Amadeus, ma il festival di San Zlatan è andato in onda davanti a telecamere gremite prima di Milan-Liverpool.
“Sono il boss e comando io, tutti lavorano per me, quando il leone va via, i gatti si avvicinano. Quando il leone torna, i gatti spariscono. E non sto parlando della squadra, ma di chi è fuori…” Cose così. Della serie lo stato sono io, Luigi XIV gli fa un baffo (anche se la citazione del sovrano francese è contestata).
Ibrahimovic è tornato come soltanto lui sa fare e sa dire, da mattatore però da avanspettacolo posso dire, perché il Milan, la sua storia, non ha certo bisogno di arlecchini servitori di più padroni, personaggi dal linguaggio rozzo, spinti da un ego e da una spavalderia che benissimo andava ed era tollerata ai tempi dello Zlatan calciatore, ma oggi no, la recita è finita, il pallone è sgonfio, bucato, il Milan è una cosa seria, non certamente palcoscenico di buffonate palabratiche.
Mai a Gianni Rivera o a Paolo Maldini, veri e fedeli protagonisti della storia rossonera, sarebbe passato per la mente di usare quel frasario, di esibire tale sguaiata sfrontatezza e potere volgare. Ibrahimovic si permette di dire e fare perché nessuno osa ricordargli che cosa sia stato e sia ancora il Milan, gli è consentito di andare in vacanza o di sproloquiare senza contraddittorio quasi temendone le reazioni fisiche. Chi metterà fine a questa farsa? Pagherà Fonseca, l’ultimo dei colpevoli.