NEL FEMMINICIDIO C’E’ UN PROBLEMA INSOLUBILE: L’AMORE

Quante donne sono morte ammazzate nell’ultimo mese? Non lo so e non mi interessa.

Perché fosse anche una sola sarebbe sempre troppo.

Convegni antiviolenza, campagne di sensibilizzazione, incontri nelle scuole, speciali televisivi, fiction che ricalcano le tragedie reali e nelle quali la vittima denuncia e viene salvata.

Fiction, ecco, appunto.

Ma nella realtà sembra che nulla si muova. Siamo sempre alla linea di partenza e tutti i giorni ci tocca leggere dell’ennesima tragedia.

Io non ne posso più. Ma anche queste mie cinque parole sono solo parole.

Cosa si potrebbe fare di concreto?

Come sarà facilmente intuibile non ho la soluzione in tasca, anche perché non esiste una sola via per far cessare queste stragi.

Il lavoro deve essere corale da parte di società ed istituzioni insieme, in più è lungo, perché deve partire dall’educazione dei bambini e delle bambine. Non una passeggiata.

C’è però una cosa che forse si potrebbe incrementare: la prevenzione, cominciando a insegnare seriamente alle donne, ma prima ancora alle ragazze, un’etica del rapporto a due.

Bisogna imparare a riconoscere i segnali, ancorché minimi, di una potenziale evoluzione di violenza e sopruso da parte del partner.

A volte gli atteggiamenti sono rivelatori, anche se in quel momento non appaiono pericolosi: il divieto di vedere qualche amica, lo scoppio d’ira improvviso subito eliminato con tanto di scuse da parte dell’irascibile di turno, la localizzazione compulsiva (“Dov’eri? Ti ho chiamato ma non mi hai risposto”), il controllo delle spese e molti altri esempi che meglio di me gli esperti del comportamento umano hanno ratificato e, per la verità, anche esposto in più di un incontro pubblico.

Ma evidentemente ancora non basta, il lavoro è solo all’inizio.

Perché la motivazione dei femminicidi è spesso comune: lei se ne vuole andare e lui non ci sta.

E di conseguenza la uccide (mia o di nessun altro), o la punisce ammazzando il figlio o i figli (adesso vivi pure da sola ma con questa tragedia nel cuore). Spesso poi l’assassino rivolge l’arma contro sé stesso e la fa finita, per cui lui non rischia niente, non dovrà affrontare una vita solitaria e disperata.

E’ un clichè che schiere di psicologi e psichiatri hanno spiegato talmente tante volte che persino l’uomo comune ne conosce le dinamiche.

E io, da mamma di fanciulle adolescenti, cerco di fare del mio meglio spiegando loro quali comportamenti di un eventuale futuro compagno siano da considerare quanto meno sospetti e possano celare il germe della follia.

Un esercizio probabilmente inutile perché nella dinamica di coppia la ragione è spesso l’ultima variabile a essere considerata, soprattutto a vent’anni.

Ce lo ricordiamo tutti cosa significa perdere la testa, soprattutto per il primo amore: potrebbe dire e fare qualsiasi scemenza che sarebbe comunque scusata e compresa.

Ecco, questa è forse la fase più “debole”, seppur meravigliosa, della vita di una ragazza. E temo purtroppo che tale debolezza non sia limitabile alla giovane età perché chiunque, anche una donna matura, può incappare in un amore tossico, anche senza cercarlo.

E allora, noi che siamo state fortunate e che viviamo una relazione stabile ed equilibrata, come possiamo aiutare chi di noi ha avuto la sventura di incappare nel pazzo omicida?

Le uniche armi al momento sono le parole e l’ascolto, ma non bastano. E leggendo la cronaca di queste ultime ore mi resta comunque un grande senso di impotenza.

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